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Degli
articoli di vario tipo - testo+foto - realizzati per "Il Venerdì
di Repubblica" (reportage, inchieste, interviste, rubriche) riporto
di seguito le pagine di apertura e alcuni brani iniziali. Chi
fosse interessato a qualche servizio completo puņ scrivere a:
apolitano@artsrl.it |
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Bretagna,
l'altrove francese di Gauguin
Cento
anni fa, malato, solo, ormai disperato (sebbene progettasse
ancora di tornare in Europa, forse in Spagna, per
rinnovare le fonti della sua ispirazione), Paul Gauguin
moriva ad Atuona, nelle Isole Marchesi. A 55 anni,
probabilmente per una crisi cardiaca, nella sua Maison
du Jouir, la casa-atelier restaurata quest'anno per
le celebrazioni del centenario in Polinesia. Il 2003
è stato ricco di omaggi al pittore che fino
alla fine rivendicò "il diritto di osare
tutto". Il clou si è avuto con il ritorno
a Tahiti di cinque tele e una scultura, esposte per
la prima volta "nella luce che le ha create".
Ora, mentre a Parigi è in corso da due settimane
l'esposizione "Gauguin Tahiti" (Musée
d'Orsay, fino al 19 gennaio, con il capolavoro "Da
dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?"), a Napoli,
negli spazi appena rinnovati di Castel Sant'Elmo,
approda - dopo le tappe di Parigi e Quimper - la mostra
"Gauguin e la Bretagna" (19 ottobre/11 gennaio):
un centinaio tra tele, disegni, stampe e sculture,
di cui una ventina opera di Gauguin, della cosiddetta
scuola di Pont-Aven, quei giovani pittori (come Emile
Bernard e Paul Sérusier) strettisi attorno
a Gauguin durante i suoi soggiorni in Bretagna, attratti
dalla modernità della sua ricerca e dall'anticonformismo
della sua personalità. Già intorno al
1860 Pont-Aven, piccolo villaggio situato sulla riva
del fiume Aven a pochi chilometri dalla costa atlantica,
aveva iniziato a richiamare pittori, in maggioranza
anglosassoni, per l'accoglienza della gente e il pittoresco
che offriva alla loro ispirazione (antica religiosità
popolare, leggende celtiche, costumi tradizionali,
cruda bellezza del paesaggio rurale e costiero) ...
Turismo
sessuale
(foto
di P.Zachmann)
Gli
schiavi di fine secondo millennio sono piccoli schiavi.
Bambini, trattati come merce da vendere: in carne
e ossa, su videocassetta o via internet. Rapiti per
strada, presi nei villaggi, brutalizzati, costretti
a prostituirsi, seviziati e violentati per produrre
immagini porno. Infanzie negate, vite violate. Gli
schiavisti di oggi sono chi li controlla e organizza,
chi li avvia sul marciapiede, chi li adopera per girare
film pornografici, i pedofili e i turisti sessuali
che ne approfittano. In Italia non c'è ancora
normativa sulla materia. Ma qualcosa presto cambierà.
All'inizio di luglio, infatti, la Commissione Giustizia
della Camera ha approvato il testo di legge sullo
sfruttamento sessuale dei minori di 18 anni, ora al
vaglio del Senato per l'approvazione definitiva. Quando
sarà legge, introdurrà pene severe (fino
a 20 anni) e multe salatissime (fino a 500 milioni)
per chi sfrutta i minori, inducendoli alla prostituzione,
compiendo abusi sessuali, organizzando e fruendo di
viaggi a sfondo sessuale, realizzando e commerciando
immagini porno in videocassetta o tramite internet.
Sarà vietato detenere materiale pornografico
con soggetti minorenni e sarà finalmente possibile
perseguire in patria cittadini che compiono abusi
sessuali su minori all'estero. Tra i politici e gli
addetti ai lavori prevale la considerazione che la
legge, pur buona, non basterà. E che occorra,
come sottolinea Anna Serafini, relatrice della legge,
"affermare una diversa cultura dell'infanzia
e della sessualità, attraverso azioni di informazione,
prevenzione e recupero". Ma quali sono le dimensioni
reali del fenomeno, di cui i mostri da prima pagina
di Marcinelle o Torre Annunziata, i bordelli e sexy-bar
di Bombay e Bangkok rappresentano soltanto la punta
di un iceberg spaventoso? La prostituzione minorile
legata al turismo sessuale è un business in
crescita costante. Così come aumenta il degrado
e la povertà nel sud del mondo, dove per molte
famiglie povere un bimbo è tra le poche se
non l'unica fonte di reddito ...
In
viaggio con i turisti per caso
I
turisti per caso sono di nuovo in viaggio. Dall'8
maggio, ogni giovedì e per nove settimane,
su Raitre va in onda "Condominio Mediterraneo",
il nuovo programma di Patrizio Roversi e Syusy Blady,
la coppia più girovaga del piccolo schermo
nostrano. Due ore in prima serata in cui dal loro
loft pittoresco dove è in corso una festa molto
animata, insieme a amici-ospiti illustri e sconosciuti
rivedono e commentano i "filmini delle vacanze"
girati in Turchia, Egitto, Marocco e Italia, con salto
finale oltreoceano per la maratona di New York. E
poi si sono rimessi a viaggiare per davvero. Verso
mete lontane ed esotiche, per una nuova serie di "Turisti
per caso" in onda da novembre. Sono stati in
Polinesia, a compimento di un antico desiderio. Sono
appena tornati dal Messico, in compagnia di Pino Cacucci,
l'autore di "Puerto Escondido". Prossimamente
andranno in Kenya, tra i leoni della savana e gli
italiani di Malindi, forse in Giappone, con Totò
Schillaci, e in pellegrinaggio in bicicletta fino
a Santiago de Compostela. Ma come viaggiano Patrizio
e Syusy? Da qualche anno, dopo i primi tempi eroici
e solitari, con una troupe vera. Anzi due, composte
da due operatori-registi di talento, Giuseppe Ghinami
e Paolo Santolini, e un inventivo stratega di itinerari,
Marco Schiavina. Inoltre ognuno ha una piccola telecamera,
incluso Syusy che ogni tanto si apparta a dialogare
con la pro-pria digitale, "perché a volte
lo sguardo non si può appaltare". E, visto
che la filosofia di base è "riprendere
tutto perché il nostro è un diario di
viaggio personale", si gira di continuo. Ossessivamente.
Un viaggio insieme a loro diventa così un'esperienza
memorabile, frenetica, spassosa, piena di eventi.
Figurarsi poi quando si salta di isola in isola in
un luogo di fascino sconfinato come la Polinesia:
per Patrizio, turista classico, "la meta da sempre
sognata, il viaggio per eccellenza, l'opposto rispetto
ai posti nebbiosi e piovosi cui appartengo";
per Syusy, turista irregolare, "l'atollo, la
ricerca della vita alternativa, l'angolino dove vivere
sempre in estate"
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Cuba,
l'Hemingway di Padura Fuentes
Tutto
inizia con una tempesta tropicale. Non un uragano, ma
uno di quegli acquazzoni pomeridiani che scaricano veloci
vento e fulmini, fanno volare tegole e sradicano alberi,
poi scompaiono. La caduta di un mango secolare a Finca
Vigìa, la vecchia casa habanera di Hemingway,
riporta alla luce i resti del cadavere di un uomo, ucciso
quarant'anni prima con due colpi di fucile a bruciapelo:
un agente dell'Fbi, che probabilmente spiava lo scrittore.
I sospetti ricadono subito su Hemingway, abituato alle
armi, semi-alcolizzato, negli ultimi anni spesso preda
di crisi creative e manie di persecuzione. Quando i
vecchi colleghi chiedono aiuto a Mario Conde, ex tenente
che aveva lasciato la polizia per dedicarsi alla passione
della scrittura, lui accetta subito perché non
crede alla colpevolezza di Hemingway. Per il Conde,
sorta di Philip Marlowe del Tropico dall'acuta sensibilità
letteraria, parte così un'indagine che è
anche una disincantata resa dei conti personale con
il fantasma di uno scrittore amato e di un uomo detestato.
Il Conde è l'alter-ego non troppo nascosto di
Leonardo Padura Fuentes, uno dei più apprezzati
scrittori cubani di oggi, quarantasettenne, già
autore del ciclo di romanzi delle "Quattro stagioni"
con protagonista il Conde: Maschere, Paesaggio d'autunno,
Passato remoto e Venti di Quaresima. Lo abbiamo incontrato
nella sua casa dell'Avana, in occasione dell'uscita
del suo ultimo romanzo "Addio Hemingway",
edito in Italia da Marco Tropea Editore, per parlare
del suo rapporto con lo scrittore americano e di quello
di Hemingway con Cuba ...
Luis
Sepulveda
(foto
di D.Mordzinski)
Il
fenomeno è tornato. Rivoluzionario in Cile, guerrigliero
in Bolivia e Nicaragua, esule tra Amburgo e Parigi,
ecologista d'assalto sulle navi di Greenpeace. Scrittore,
anzi "narratore di storie" come ama definirsi,
di successo. Luis Sepùlveda, cileno, 48 anni,
è una specie di Re Mida della letteratura, antidivo
e carismatico. Autore di culto in Francia, Germania
e Spagna. Un milione di lettori in Italia. Il primo
libro, uscito cinque anni fa, "Il vecchio che leggeva
romanzi d'amore" (Guanda), ancor oggi in classifica;
come l'eco-favola "Storia di una gabbianella e
del gatto che le insegnò a volare" (Salani),
per molte settimane il più venduto in Italia.
L'ultimo, "Incontro d'amore in un paese in guerra",
sempre edito da Guanda, è da oggi in libreria.
Ventiquattro racconti, una specie di summa dei temi
a lui più cari: l'avventura, la politica, la
frontiera, l'esilio, l'utopia, la natura, il viaggio;
ma anche l'amore e l'imprevisto. Personaggi e storie
che vanno e vengono tra Europa e America latina, ricordi
che partono da Praga e arrivano in una calle di Santiago.
Ferrovie che attraversano il continente, esistenze alla
ricerca della libertà che si muovono tra grandi
bevute, tanghi, incontri d'amore e fughe dalla polizia.
Fedele ai suoi personaggi, Sepùlveda è
da sempre in eterno nomadismo. Ma ora si è fermato,
almeno parzialmente. Nelle Asturie battute dal vento
e dalle maree. È accaduto dopo il reincontro
con il suo primo grande amore, la madre del maggiore
dei suoi quattro figli. Cilena, oppositrice di Pinochet,
esule e per qualche tempo desaparecida. Non si vedevano
da vent'anni, si sono incontrati e innamorati di nuovo.
Delle persone che erano e di quelle che sono diventate.
Hanno rivoltato le loro vite e stanno mettendo su casa
insieme, cercando per la prima volta di metter radici
...
India, la
fiera dei cammelli
Pushkar
(India settentrionale). "Va alla fiera?",
domanda cordiale il vecchio professore, tunica di seta
grezza e occhiali di tartaruga, sul pullman sgangherato
che corre temerariamente verso sud. "È molto
interessante. Le piacerà. Vedrà saltimbanchi
e santoni, cerimonie sacre e corse di cammelli. Molti
turisti occidentali, tantissimi indiani e poi la luna,
la luna più grande e lucente che avrà
visto mai". All'arrivo, la luna si nasconde dietro
il profilo nero della Montagna del Serpente che domina
la vallata dove sorge la piccola città santa.
La leggenda racconta che, in principio, questa era terra
solo di sabbia e sassi, polvere e vento. Poi, un giorno,
nel tempo senza tempo degli dei, Brahma il creatore
lasciò cadere dal cielo un fiore di loto. I petali
si sparsero nella valle e dalla roccia sgorgò
l'acqua. Nacque un lago, sulle cui rive il dio compì
un sacrificio, alla luce della luna piena, Poornima,
del mese di Kartik, all'inizio dell'autunno. In memoria
di questo evento, la tradizione induista considera di
grande auspicio bagnarsi in quelle acque durante il
plenilunio d'autunno. Pushkar, sviluppatasi nei secoli
attorno al lago, è diventata così uno
dei maggiori luoghi di pellegrinaggio dell'intero sub-continente.
In India vi sono molte altre acque purifìcatrici;
su tutte, quelle del Gange che scorrono davanti a Benares,
la città santa per eccellenza. Ma la differenza
con Pushkar è grande. Qui lo specchio è
circoscritto (il lago ha un diametro di poche centinaia
di metri); l'acqua non scorre via verso l'oceano; il
perimetro è definito dalle oltre 50 scalinate
(ghat) e dai circa 400 tra templi e palazzi di maharajà
che si affacciano sulle rive. Qui non ci sono cerimonie
di cremazione, l'idea della morte rimane lontana. E
così da molti secoli, ogni anno alla fine della
stagione dei monsoni e del racconto, migliaia di persone
si mettono in marcia verso Pushkar. Arrivano dalle pianure
e dagli altipiani, dal deserto e dai villaggi del Rajasthan
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