Australia, sulle tracce di Chatwin venti anni dopo Le Vie dei Canti
Palazzo Ducale, Genova

Australia, in Chatwin's footsteps twenty years after The Songlines
Palazzo Ducale, Genoa












 
Il sole che sorge lascia ancora intravedere le ultime stelle della notte. La Croce del Sud è bassa, quasi sull’orizzonte, sul lato del monolite vicino alla strada che inizia a essere rischiarata dalle luci delle auto e dei bus carichi di turisti che vengono ad assistere allo spettacolo dell’alba. Venere brilla solitaria sul lato opposto. Il totem è lì da milioni di anni. Punta di un iceberg di arenaria alto 348 metri sulla pianura circostante, profondo il doppio della sua altezza sotto la sabbia. Luogo sacro agli aborigeni, sacralizzato da visitatori occidentali e orientali da quando dagli anni ‘40 è cominciato il grande affare del turismo. Uluru o Ayer’s Rock (come lo battezzò nel 1873 William Gosse, primo bianco a “scoprirlo”) continua ad attrarre magneticamente. Mezzo milione di persone arrivano ogni anno per vederlo, toccarlo, scalarlo. Anche Chatwin. Nel 1985 (l’anno della restituzione di Uluru ai legittimi proprietari tradizionali, gli Anangu). Lui e Salman Rushdie, entrambi invitati dal festival di letteratura di Adelaide, come due turisti qualsiasi vanno in macchina verso la grande roccia. Chatwin la scala, vantandosi di aver battuto degli svizzeri nell’andare su e giù (Rushdie nega). Gli Anangu invitano a non salire sulla roccia. Il cammino è lo stesso percorso dall’antenato Mala al suo arrivo qui nell’epoca della creazione. Ma molti intraprendono la salita. Agevole ma impegnativa quando fa caldo e tira vento (malgrado venga chiusa in condizioni climatiche critiche, si registrano diverse morti l’anno). Alcuni vanno su attrezzatissimi; altri, in short e sandali. La maggioranza sembra giapponese, molti con guanti e mascherine. Una connazionale, hostess di un bus, li aspetta alla base e offre di fare una foto ricordo. Tutti accettano. Posa, scatto e via verso il trofeo da riportare a casa
  The rising sun still makes the last stars of the night visible. The Southern Cross is low, almost on the horizon, on the side of the monolith next to the road that starts to be lit up by the lights of the cars and buses full of tourists who come to watch the spectacle of the dawn. Venus shines lonely on the opposite side. The totem has been there for millions of years. The Peak of a sandstone iceberg 348 meters high on the surrounding plains, deep twice his height under the sand. Place sacred to the Aboriginal people, sacralized from western and eastern visitors since when, in the early '40s, the big business of tourism began. Uluru or Ayer's Rock (as William Gosse, the first white to "discover" it, baptized it in 1873) continues to attract people magnetically. Half a million people come every year to see it, touch it, climb it. Chatwin did too. In 1985 (the year of the return of Uluru to the legitimate traditional owners, the Anangu). He and Salman Rushdie, both invited by the Adelaide literature festival, as any two tourists drove to the big rock. Chatwin climbed it, being proud of having beaten some Swiss in going up and down (Rushdie denies it). The Anangu invite not to climb the rock. The journey is the same covered by the ancestor Mala on his arrival here in the Creation Time. But many people set out to climb it. Easy but challenging when it is hot and windy (although the path is closed in critical conditions, there are several deaths a year). Some are well-equipped, others in shorts and sandals. Most of them are Japanese, many with gloves and little masks. A Japanese girl, hostess of a bus, waits for them at the base of the rock and offers them to take a souvenir photograph. Everyone accepts. Pose, photo and away towards the trophy to bring home