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La
nostra Africa
Eritrea
Sul
finire del giorno il viale si anima a poco a poco. Figure
alte, il passo lieve, incedono a coppie o gruppetti
sotto le palme, lungo gli ampi marciapiedi con le mattonelle
a quadrettini. Scambiandosi occhiate, un saluto. Si
concedono alla lentezza, nel tempo sospeso della sera.
Il rito della chiacchiera, un cappuccino, una pasta,
un gelato. Ai tavolini all’aperto dei caffè,
nei saloni interni con le tv che trasmettono le partite
di calcio, tra negozi di foto e parrucchieri ancora
aperti. Il Tropico è più vicino dell’Equatore,
ma qui a 2400 metri sul livello del mare arriva il vento.
Si sente di stare più in alto; di sera, e al
mattino presto, l’aria è leggera. Il cielo
è spesso terso, blu. Per quest’aria, la
posizione sull’altopiano, Asmara è diventata
un gioiello, una concentrazione di architetture con
pochi eguali al mondo, una Miami Beach del Corno d’Africa,
un’Avana totalmente nera. Sul finir del’Ottocento,
gli italiani ne fecero il centro delle colonie d’Africa
orientale al posto di Massaua, la prima capitale sulla
costa da cui scappavano per la calura asfissiante, trasformando
un villaggio tigrino in una città coloniale ideale,
una Piccola Roma. Poi vennero gli investimenti del ventennio
fascista, la seconda guerra mondiale, gli inglesi, l’occupazione
etiope, trent’anni di guerra di liberazione. Asmara
è rimasta in sostanza intatta. Tant’è
che l’Unesco sta valutando di inserire nel patrimonio
dell’umanità la sua collezione unica di
edifici: razionalisti, déco, liberty, cubisti,
espressionisti, futuristi, neoclassici, funzionalisti.
Integra, paradossalmente, per gli scarsi mezzi a disposizione
che hanno fatto argine all’omologazione ...
L’ultima
Polinesia
Australi, Polinesia francese
Una
guida alle Isole del Pacifico di una dozzina di anni
fa, all’inizio delle tre pagine dedicate all’arcipelago
delle Australi, nel capitoletto Da non perdere recitava:
“Se vi siete spinti fin qui… lo scoprirete
da soli!”. Fin qui significa dall’altra
parte del mondo, emisfero australe (da cui il nome),
Pacifico meridionale. Una manciata di sassi nell’immensità
dell’oceano, a sud di Tahiti. Una catena di antichi
vulcani emersi, disposti lungo oltre mille chilometri
a cavallo del Tropico del Capricorno. Sette isole alte,
di cui cinque abitate (da poco più di 6 mila
persone). Una superficie di 150 chilometri quadrati,
come le nostre Eolie ed Egadi messe assieme. Le ultime
isole polinesiane a essere colonizzate, le ultime terre
popolate del Pacifico prima delle acque fredde dell’Antartico.
L’arcipelago più meridionale della Polinesia
Francese, il meno conosciuto, il meno raggiunto dai
flussi turistici. Remoto, a parte, attraente .Magari
non la successione spettacolare di baie e penisole di
altri arcipelaghi polinesiani, ma coste orlate di palme
e lagune, interni foderati di verde. Nessuna profusione
di bungalow overwater o grandi hotel, ma piccole pensioni
familiari, case riadattate ad alberghetti, bungalow
tra papaye e banani. Forse più cavalli che macchine
e moto, di certo più piroghe. La metropoli sembra
meno influente, Tahiti stessa appare lontana ...
Alla
ricerca del sapere perduto
Grecia
Su
una t-shirt c’è la riproduzione della Scuola
di Atene di Raffaello, con Platone e Aristotele in primo
piano; su un’altra, un gioco di assonanze in inglese
(“To do is to be, Socrates. To be is to do, Plato.
Do be do be do, Sinatra”) mischia lietamente sacro
e profano. Sono eroi popolari i filosofi in Grecia,
soprattutto per chi viene ad abbeverarsi al mito della
classicità. Studiati, dimenticati, riscoperti,
venduti e comprati nei negozietti accanto ai templi.
Siamo tutti figli della Grecia. Nipoti di Platone, pronipoti
di Socrate. Ciò che chiamiamo filosofia (“amore
per il sapere”) è nato qui, quando i miti
non sono più bastati a spiegare il mondo e si
è passati a ragionare sui principi e le cause
prime. «Il greco», scriveva Werner Jaeger,
«è il popolo filosofo fra tutti».
La genesi è nelle colonie greche sulle coste
dell’Asia minore. Talete di Mileto - all’epoca
città di frontiera, di traffici, commerci, incroci
con l’Oriente - fu il primo a esprimere le sue
idee in termini logici anziché mitologici. Ma
il centro è Atene, dove vissero i grandi pensatori:
Socrate, Platone, Aristotele. Il primo maestro del secondo,
il secondo del terzo. È dalla polis del passato
e dalla metropoli del presente che può partire
il tentativo di rivisitare i luoghi all’origine
del pensiero occidentale …
Un
patrimonio nazionale e mondiale
Unesco,
Italia
L’Italia
ha due record del mondo. Uno, ufficioso, vuole che nel
Belpaese si concentri la metà circa dei beni
artistico-culturali al mondo. L’altro, ufficiale,
la designa come il paese che annovera il maggior numero
di beni culturali e naturali iscritti nella lista del
Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco,
l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione,
la scienza e la cultura. Ben 41 degli 851 siti che la
convenzione dell’Unesco del 1972 identifica e
protegge come luoghi culturali e naturali che meritano
di essere riconosciuti come patrimonio comune dell’umanità
e di conseguenza “appartengono a tutte le popolazioni
del mondo, al di là dei territori nei quali sono
collocati”. Le pianure del Serengeti e il Taj
Mahal, l’Acropoli di Atene e i moai dell’isola
di Pasqua, Persepolis e Machu Picchu, le chiese copte
di Lalibela e la casbah di Algeri, il Grand Canyon e
Venezia e la sua laguna ...
In
viaggio con Chatwin
Northern
Territory, Australia
Per
un amante di orizzonti come Chatwin, l’Australia
ha un potere di attrazione speciale. Per lui è
«il paese dei sogni, lontanissimo dal resto del
mondo», a cui avvicinarsi «col fervore del
primo amore», «il paese in cui bisognerebbe
stabilirsi». In più, c’è un
motivo di richiamo specifico. Conoscere da vicino la
sofisticata metafisica degli aborigeni, campioni di
nomadismo, può contribuire a trovare la via per
riuscire infine a scrivere quel libro sui nomadi a cui
pensa da quindici anni. Così, zaino in spalla
- aderente al celebre ritratto che Lord Snowdon gli
fa nel 1982 - parte per l’Australia Centrale a
due riprese, nel 1983 e nel 1984. Lì, nel «deserto
più astratto», le aspettative non sono
deluse («non hai idea di quanto sia bella questa
terra», scrive alla moglie Elizabeth). E capisce
che le “piste del sogno”, le tjuringa, sono
in effetti ciò che spera: rappresentazioni rituali
dei miti della creazione («gli Uomini del Tempo
Antico percorsero tutto il mondo cantando; cantarono
i fiumi e le catene di montagne, le saline e le dune
di sabbia») e linee, mappe del territorio, fondamento
d’identità, contatto vitale con la terra.
Il risultato è Le vie dei canti, il suo quarto
libro, pubblicato in Inghilterra nel 1987, l’anno
dopo in Italia, un successo planetario ...
Il
mare al di là del confine
Istria,
Croazia
Di
mattino presto, nei giorni chiari, quando il vento spazza
l’aria, guardando verso occidente si vede Venezia.
Dalla terrazza della cattedrale di Rovigno o dal lungomare
di Parenzo, punti di osservazione privilegiata, si riconosce
la linea della costa, le montagne dietro, il profilo
del campanile di San Marco. In fondo Venezia è
a 50 miglia, oltre il mare. Quando non si vede, basta
girarsi e Venezia è lì. Nelle stradine
strette, nelle case in pietra addossate le une alle
altre, nello stile di palazzi e chiese, nella propensione
a vivere in simbiosi con l’acqua, affacciati sui
porti, con i leoni della Serenissima ancora scolpiti
su municipi e porte d’ingresso. Eppure Venezia
è stata una parentesi, lunga, ma conclusa; poi
- come già prima - è stato il turno di
altri conquistatori. A Pola, all’ombra delle arcate
dell’anfiteatro romano forse meglio conservato
del Mediterraneo, Danilo racconta la sua giornata di
pesca (fa il pescatore e ha un piccolo ristorante: «il
pesce venduto sul piatto», sintetizza) e della
nonna materna Attilia, 92 anni, che «nella sua
vita ha cambiato cinque stati, senza uscire dalla propria
corte». Nell’ultimo secolo, infatti, i confini
e «i padroni dell’Istria sono cambiati cinque
volte». L’Istria è questo: memoria
di presenze accavallatesi nel tempo e un paesaggio ancora
felice; testimonianze monumentali dei vari passaggi
(i Romani, i Bizantini, Venezia, gli Asburgo, Napoleone,
l’Italia, la Jugoslavia) e una natura benevola
...
Alla
ricerca dell’Insubria
Canton
Ticino, Piemonte, Lombardia
Più
di duemila anni fa, tra le Alpi e il Po, si sviluppò
una civiltà venuta da oltre le montagne, dalla
Gallia dei Celti. Gli Insubri si stanziarono nel V secolo
a.C. tra il Ticino e il Lago di Como, fondarono Mes¹iolanom
(Mediolanum, l’odierna Milano), il “luogo
al centro della pianura”, la “terra sacra
nel mezzo”, estesero il controllo della regione
dei Laghi (Varés, Còm, Ìntra/Palànsa,
Tissìn), formando una confederazione tribale
celtica con i Leponti. Ma la loro espansione incrociò
quella di Roma: per contrastarla si allearono anche
con Annibale, ma furono sconfitti e sottomessi. Diventarono
cittadini romani nel 49 a.C., adattando le proprie tradizioni
alla nuova cultura dominante. La memoria di quei capostipiti
originari è oggi in gran parte smarrita, anche
se il richiamo alle fonti identitarie del passato celtico
rimane una delle declinazioni dell’orgoglio nordista.
C’è un’università dell’Insubria
(il polo di studi di Varese e Como), una Regio Insubrica
(“comunità di lavoro che promuove la cooperazione
nella regione italo-svizzera dei tre laghi prealpini”),
alcune associazioni e riviste insubriche, un “concorso
di bellezza transfrontaliera” che da sei anni
elegge Miss Insubria. E, poi, un consorzio di territori
(cinque italiani, le province di Varese, Como, Novara,
Lecco, Verbania-Cusio-Ossola, e uno svizzero, il Canton
Ticino) che mira a valorizzare le risorse dell’area
in nome di quel passato trasversale. L’Insubria
di oggi, attraversata da direttrici ferroviarie e stradali
che collegano il centro e il sud d’Europa attraverso
il San Gottardo e il Sempione, è nel cuore del
continente ...
Oltre
il Canale
Panama
Il
destino di Panama è racchiuso nella sua geografia:
l’istmo di Panama è il punto più
stretto del continente, una lingua di terra che divide
l’Atlantico e il Pacifico e unisce le masse continentali
del Centro e del Sud America. È perciò
il luogo che ha tentato di più politici e ingegneri
nel trovare una soluzione per stabilire una via di comunicazione
tra i due oceani che potesse rappresentare una valida
alternativa alla circumnavigazione del continente. Fin
dalla scoperta del Mare del Sud, nel secolo XVI, si
vagheggiò di costruire un canale, un “ponte
d’acqua” dolce che, sfruttando il corso
del fiume Chagres che taglia a metà l’istmo
e sfocia nell’Atlantico, collegasse i due oceani.
A costruire una via d’acqua, creando un lago artificiale
al centro, avevano provato per primi i francesi, alla
fine dell’800. Ma gli ingegneri Gustave Eiffel
(quello della famosa Torre) e Ferdinand de Lesseps (già
costruttore del Canale di Suez) erano andati incontro
a un tragico fallimento, che causò più
di 20 mila morti, principalmente a causa delle malattie
tropicali, febbre gialla e malaria, che infestavano
l’area. Gli statunitensi, potenza regionale, ripresero
il progetto all’inizio del ‘900, soprattutto
a scopo militare, e riuscirono a portarlo a termine
nel 1914. Da allora, fino al 31 dicembre 1999, lo hanno
amministrato direttamente. Dal 2000 il Canale è
stato restituito ai panamensi, ma cento anni di presenza
americana hanno plasmato la società. Ancora oggi
la moneta locale - il balboa - ha lo stesso valore del
dollaro, ma è raro trovarla; le banconote non
esistono e si usano regolarmente i dollari americani
…
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