I Viaggi
di Repubblica
Dei reportage - testo+foto - realizzati per "I Viaggi di Repubblica" riporto i brani iniziali e alcune immagini e pagine di apertura
       
 

La nostra Africa
Eritrea

Sul finire del giorno il viale si anima a poco a poco. Figure alte, il passo lieve, incedono a coppie o gruppetti sotto le palme, lungo gli ampi marciapiedi con le mattonelle a quadrettini. Scambiandosi occhiate, un saluto. Si concedono alla lentezza, nel tempo sospeso della sera. Il rito della chiacchiera, un cappuccino, una pasta, un gelato. Ai tavolini all’aperto dei caffè, nei saloni interni con le tv che trasmettono le partite di calcio, tra negozi di foto e parrucchieri ancora aperti. Il Tropico è più vicino dell’Equatore, ma qui a 2400 metri sul livello del mare arriva il vento. Si sente di stare più in alto; di sera, e al mattino presto, l’aria è leggera. Il cielo è spesso terso, blu. Per quest’aria, la posizione sull’altopiano, Asmara è diventata un gioiello, una concentrazione di architetture con pochi eguali al mondo, una Miami Beach del Corno d’Africa, un’Avana totalmente nera. Sul finir del’Ottocento, gli italiani ne fecero il centro delle colonie d’Africa orientale al posto di Massaua, la prima capitale sulla costa da cui scappavano per la calura asfissiante, trasformando un villaggio tigrino in una città coloniale ideale, una Piccola Roma. Poi vennero gli investimenti del ventennio fascista, la seconda guerra mondiale, gli inglesi, l’occupazione etiope, trent’anni di guerra di liberazione. Asmara è rimasta in sostanza intatta. Tant’è che l’Unesco sta valutando di inserire nel patrimonio dell’umanità la sua collezione unica di edifici: razionalisti, déco, liberty, cubisti, espressionisti, futuristi, neoclassici, funzionalisti. Integra, paradossalmente, per gli scarsi mezzi a disposizione che hanno fatto argine all’omologazione ...

 


L’ultima Polinesia
Australi, Polinesia francese

Una guida alle Isole del Pacifico di una dozzina di anni fa, all’inizio delle tre pagine dedicate all’arcipelago delle Australi, nel capitoletto Da non perdere recitava: “Se vi siete spinti fin qui… lo scoprirete da soli!”. Fin qui significa dall’altra parte del mondo, emisfero australe (da cui il nome), Pacifico meridionale. Una manciata di sassi nell’immensità dell’oceano, a sud di Tahiti. Una catena di antichi vulcani emersi, disposti lungo oltre mille chilometri a cavallo del Tropico del Capricorno. Sette isole alte, di cui cinque abitate (da poco più di 6 mila persone). Una superficie di 150 chilometri quadrati, come le nostre Eolie ed Egadi messe assieme. Le ultime isole polinesiane a essere colonizzate, le ultime terre popolate del Pacifico prima delle acque fredde dell’Antartico. L’arcipelago più meridionale della Polinesia Francese, il meno conosciuto, il meno raggiunto dai flussi turistici. Remoto, a parte, attraente .Magari non la successione spettacolare di baie e penisole di altri arcipelaghi polinesiani, ma coste orlate di palme e lagune, interni foderati di verde. Nessuna profusione di bungalow overwater o grandi hotel, ma piccole pensioni familiari, case riadattate ad alberghetti, bungalow tra papaye e banani. Forse più cavalli che macchine e moto, di certo più piroghe. La metropoli sembra meno influente, Tahiti stessa appare lontana ...

 

 


Alla ricerca del sapere perduto
Grecia

Su una t-shirt c’è la riproduzione della Scuola di Atene di Raffaello, con Platone e Aristotele in primo piano; su un’altra, un gioco di assonanze in inglese (“To do is to be, Socrates. To be is to do, Plato. Do be do be do, Sinatra”) mischia lietamente sacro e profano. Sono eroi popolari i filosofi in Grecia, soprattutto per chi viene ad abbeverarsi al mito della classicità. Studiati, dimenticati, riscoperti, venduti e comprati nei negozietti accanto ai templi. Siamo tutti figli della Grecia. Nipoti di Platone, pronipoti di Socrate. Ciò che chiamiamo filosofia (“amore per il sapere”) è nato qui, quando i miti non sono più bastati a spiegare il mondo e si è passati a ragionare sui principi e le cause prime. «Il greco», scriveva Werner Jaeger, «è il popolo filosofo fra tutti». La genesi è nelle colonie greche sulle coste dell’Asia minore. Talete di Mileto - all’epoca città di frontiera, di traffici, commerci, incroci con l’Oriente - fu il primo a esprimere le sue idee in termini logici anziché mitologici. Ma il centro è Atene, dove vissero i grandi pensatori: Socrate, Platone, Aristotele. Il primo maestro del secondo, il secondo del terzo. È dalla polis del passato e dalla metropoli del presente che può partire il tentativo di rivisitare i luoghi all’origine del pensiero occidentale …






Un patrimonio nazionale e mondiale
Unesco, Italia

L’Italia ha due record del mondo. Uno, ufficioso, vuole che nel Belpaese si concentri la metà circa dei beni artistico-culturali al mondo. L’altro, ufficiale, la designa come il paese che annovera il maggior numero di beni culturali e naturali iscritti nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Ben 41 degli 851 siti che la convenzione dell’Unesco del 1972 identifica e protegge come luoghi culturali e naturali che meritano di essere riconosciuti come patrimonio comune dell’umanità e di conseguenza “appartengono a tutte le popolazioni del mondo, al di là dei territori nei quali sono collocati”. Le pianure del Serengeti e il Taj Mahal, l’Acropoli di Atene e i moai dell’isola di Pasqua, Persepolis e Machu Picchu, le chiese copte di Lalibela e la casbah di Algeri, il Grand Canyon e Venezia e la sua laguna ...

 

 



In viaggio con Chatwin
Northern Territory, Australia

Per un amante di orizzonti come Chatwin, l’Australia ha un potere di attrazione speciale. Per lui è «il paese dei sogni, lontanissimo dal resto del mondo», a cui avvicinarsi «col fervore del primo amore», «il paese in cui bisognerebbe stabilirsi». In più, c’è un motivo di richiamo specifico. Conoscere da vicino la sofisticata metafisica degli aborigeni, campioni di nomadismo, può contribuire a trovare la via per riuscire infine a scrivere quel libro sui nomadi a cui pensa da quindici anni. Così, zaino in spalla - aderente al celebre ritratto che Lord Snowdon gli fa nel 1982 - parte per l’Australia Centrale a due riprese, nel 1983 e nel 1984. Lì, nel «deserto più astratto», le aspettative non sono deluse («non hai idea di quanto sia bella questa terra», scrive alla moglie Elizabeth). E capisce che le “piste del sogno”, le tjuringa, sono in effetti ciò che spera: rappresentazioni rituali dei miti della creazione («gli Uomini del Tempo Antico percorsero tutto il mondo cantando; cantarono i fiumi e le catene di montagne, le saline e le dune di sabbia») e linee, mappe del territorio, fondamento d’identità, contatto vitale con la terra. Il risultato è Le vie dei canti, il suo quarto libro, pubblicato in Inghilterra nel 1987, l’anno dopo in Italia, un successo planetario ...

 

 


Il mare al di là del confine
Istria, Croazia

Di mattino presto, nei giorni chiari, quando il vento spazza l’aria, guardando verso occidente si vede Venezia. Dalla terrazza della cattedrale di Rovigno o dal lungomare di Parenzo, punti di osservazione privilegiata, si riconosce la linea della costa, le montagne dietro, il profilo del campanile di San Marco. In fondo Venezia è a 50 miglia, oltre il mare. Quando non si vede, basta girarsi e Venezia è lì. Nelle stradine strette, nelle case in pietra addossate le une alle altre, nello stile di palazzi e chiese, nella propensione a vivere in simbiosi con l’acqua, affacciati sui porti, con i leoni della Serenissima ancora scolpiti su municipi e porte d’ingresso. Eppure Venezia è stata una parentesi, lunga, ma conclusa; poi - come già prima - è stato il turno di altri conquistatori. A Pola, all’ombra delle arcate dell’anfiteatro romano forse meglio conservato del Mediterraneo, Danilo racconta la sua giornata di pesca (fa il pescatore e ha un piccolo ristorante: «il pesce venduto sul piatto», sintetizza) e della nonna materna Attilia, 92 anni, che «nella sua vita ha cambiato cinque stati, senza uscire dalla propria corte». Nell’ultimo secolo, infatti, i confini e «i padroni dell’Istria sono cambiati cinque volte». L’Istria è questo: memoria di presenze accavallatesi nel tempo e un paesaggio ancora felice; testimonianze monumentali dei vari passaggi (i Romani, i Bizantini, Venezia, gli Asburgo, Napoleone, l’Italia, la Jugoslavia) e una natura benevola ...

 

 

Alla ricerca dell’Insubria
Canton Ticino, Piemonte, Lombardia

Più di duemila anni fa, tra le Alpi e il Po, si sviluppò una civiltà venuta da oltre le montagne, dalla Gallia dei Celti. Gli Insubri si stanziarono nel V secolo a.C. tra il Ticino e il Lago di Como, fondarono Mes¹iolanom (Mediolanum, l’odierna Milano), il “luogo al centro della pianura”, la “terra sacra nel mezzo”, estesero il controllo della regione dei Laghi (Varés, Còm, Ìntra/Palànsa, Tissìn), formando una confederazione tribale celtica con i Leponti. Ma la loro espansione incrociò quella di Roma: per contrastarla si allearono anche con Annibale, ma furono sconfitti e sottomessi. Diventarono cittadini romani nel 49 a.C., adattando le proprie tradizioni alla nuova cultura dominante. La memoria di quei capostipiti originari è oggi in gran parte smarrita, anche se il richiamo alle fonti identitarie del passato celtico rimane una delle declinazioni dell’orgoglio nordista. C’è un’università dell’Insubria (il polo di studi di Varese e Como), una Regio Insubrica (“comunità di lavoro che promuove la cooperazione nella regione italo-svizzera dei tre laghi prealpini”), alcune associazioni e riviste insubriche, un “concorso di bellezza transfrontaliera” che da sei anni elegge Miss Insubria. E, poi, un consorzio di territori (cinque italiani, le province di Varese, Como, Novara, Lecco, Verbania-Cusio-Ossola, e uno svizzero, il Canton Ticino) che mira a valorizzare le risorse dell’area in nome di quel passato trasversale. L’Insubria di oggi, attraversata da direttrici ferroviarie e stradali che collegano il centro e il sud d’Europa attraverso il San Gottardo e il Sempione, è nel cuore del continente ...

 

 


Oltre il Canale
Panama

Il destino di Panama è racchiuso nella sua geografia: l’istmo di Panama è il punto più stretto del continente, una lingua di terra che divide l’Atlantico e il Pacifico e unisce le masse continentali del Centro e del Sud America. È perciò il luogo che ha tentato di più politici e ingegneri nel trovare una soluzione per stabilire una via di comunicazione tra i due oceani che potesse rappresentare una valida alternativa alla circumnavigazione del continente. Fin dalla scoperta del Mare del Sud, nel secolo XVI, si vagheggiò di costruire un canale, un “ponte d’acqua” dolce che, sfruttando il corso del fiume Chagres che taglia a metà l’istmo e sfocia nell’Atlantico, collegasse i due oceani. A costruire una via d’acqua, creando un lago artificiale al centro, avevano provato per primi i francesi, alla fine dell’800. Ma gli ingegneri Gustave Eiffel (quello della famosa Torre) e Ferdinand de Lesseps (già costruttore del Canale di Suez) erano andati incontro a un tragico fallimento, che causò più di 20 mila morti, principalmente a causa delle malattie tropicali, febbre gialla e malaria, che infestavano l’area. Gli statunitensi, potenza regionale, ripresero il progetto all’inizio del ‘900, soprattutto a scopo militare, e riuscirono a portarlo a termine nel 1914. Da allora, fino al 31 dicembre 1999, lo hanno amministrato direttamente. Dal 2000 il Canale è stato restituito ai panamensi, ma cento anni di presenza americana hanno plasmato la società. Ancora oggi la moneta locale - il balboa - ha lo stesso valore del dollaro, ma è raro trovarla; le banconote non esistono e si usano regolarmente i dollari americani …

 

 



I colori di una terra
Rajasthan, India

Un viaggio in India può essere tante cose. L’accostamento a spiritualità senza eguali; l’incontro con un’umanità immensa e variegata, mistici vestiti di niente o post-yuppies figli del boom economico; la contemplazione di architetture e paesaggi sublimi, come dei singolari ornamenti dei corpi. L’India è anche esteriorità. Colori dei tessuti, foggia degli abiti, metalli e pietre dei gioielli, sostanze vegetali per la pelle, tutto comunica informazioni, lancia messaggi che parlano di appartenenza etnica, condizione economica, status sociale, tappe dell’esistenza. Soprattutto in Rajasthan, terra dei maharajà avvolti nella leggenda (riconvertitisi in businessmen che gestiscono i loro palazzi trasformati in sontuosi hotel), di città sviluppatesi attorno a fortezze principesche, di villaggi sparsi tra montagne e deserto, di sabbia e vento. La zona arida più popolosa del mondo, uno stato semi-desertico vittima di prolungate siccità, povero e magnifico. “A questo popolo, il colore è necessario come la luce”, annotava Guido Gozzano nel 1914, nel suo “Verso la cuna del mondo”. I tessuti degli abiti, delle donne specialmente, hanno combinazioni cromatiche che esplorano per intero la gamma dei rossi e dei gialli, dei verdi e dei blu ...

 

 



Alla scoperta di Colombo
Andalusia, Spagna
Ai piedi della statua di Cristoforo Colombo, nel bel mezzo di Columbus Circle a New York, qualche anno fa una mano anonima lasciò scritto: "comunque, era uno che si era perso". Sintesi irriverente della storia ufficiale: nel 1492, attraversando il Mar Oceano su incarico della corona spagnola, procedendo verso Occidente per trovar l'Oriente, aveva sbattuto fortuitamente contro una terra imprevista, un Nuovo Mondo. Cercando altro, la nuova via per le Indie, aveva scoperto - per caso - l'America (come fu chiamata nel 1507 un anno dopo la sua morte). O, sulla base di voci sull'esistenza di terre misteriose dall'altra parte del mare, di mappe leggendarie e di studi di cosmografi e geografi, era andato consapevolmente a caccia di un continente sconosciuto, come argomentano alcuni studiosi? Ancora oggi, a cinquecento anni dalla sua scomparsa, le questioni aperte sono diverse. Messa un po' in disparte la disputa su chi effettivamente "scoprì" quelle terre (se i fenici, i vichinghi, i cinesi), risolta in sostanza a favore di Colombo che, seppure non fu il primo cronologicamente parlando, fu in grado di "comunicarla" adeguatamente), il dibattito si è spostato sui luoghi di nascita (era genovese, catalano, portoghese?) e sepoltura (in Spagna, a Cuba o Santo Domingo?) del navigatore. Le università di Granada e di Tor Vergata hanno avviato investigazioni sul Dna dei supposti discendenti del navigatore, coinvolgendo centinaia di Colon e Colombo sparsi tra le due sponde dell'Atlantico. In questi mesi, in occasione del cinquecentesimo anniversario della morte del navigatore (avvenuta a Valladolid il 20 maggio 1506), annunci, pur non ufficiali, hanno anticipato l'esito delle ricerche. Anche se da più parti si avanzano dubbi sui criteri scientifici dell'operazione, la tesi che sembra ormai prevalere è quella che assegna una volta per tutte i natali di Colombo a Genova e riconosce come spoglie del navigatore quelle conservate nella cattedrale di Siviglia ...






Il Rinascimento di Palmezzano
Romagna, Italia

Nei suoi dipinti c'è, quasi sempre, un paesaggio. Sullo sfondo di natività, annunciazioni, cristi, madonne, santi, si scorgono boschi, colline, specchi d'acqua, teorie di case, torri, castelli, strade che si perdono all'infinito, scene di vita quotidiana animate da cavlieri, cacciatori, pellegrini. Dettagli, dietro le figure in primo piano: quinte rarefatte e curatissime assieme, disposte con magistrale rigore prospettico. Particolari che danno forza a una pittura compatta e lucente, di ispirazione prevalentemente religiosa, immersa in "colori della purezza di alabastro". Marco Palmezzano è da tempo riconosciuto come uno dei maestri della pittura prospettica tra Quattrocento e Cinquecento, figlio della lezione di Piero della Francesca e Melozzo da Forlì. La sua arte elegante, rimasta a lungo in ombra, è tornata alla ribalta grazie alla retrospettiva che la nativa Forlì gli dedica in questi mesi ...



Arturo Brachetti, Carnevale
Italia, Europa, Mondo

Antico rito di passaggio, celebrazione religiosa, festa popolare. In passato il Carnevale, fusione di riti per la fertilità della terra e di tradizioni cristiane e pagane ai confini con l'esoterismo, era un momento di liberazione e trasgressione codificate prima dell'astinenza e penitenza della Quaresima. Annunciava la fine dell'inverno e l'arrivo della primavera, la nuova stagione dei campi. Oggi è diventato soprattutto un'occasione di gioco, travestimento, allegria. L'inizio varia; il clou si concentra tra i giorni di giovedì e martedì grasso, prima delle Ceneri, quest'anno tra il 24 e il 28 febbraio: feste in piazza e private, carri allegorici, personaggi in costume, maschere. La ricca tradizione italiana della commedia dell'arte è decaduta. Ma c'è un performer che ha continuato in questi anni a rivisitare il genere, dando vita a un mix unico di teatro, cabaret, music-hall, magia, illusionismo, prestidigitazione. Se la maschera è trasformazione, la maschera è lui. Arturo Brachetti è considerato il più grande attore-trasformista del mondo. Non a caso il suo ultimo spettacolo, vincitore del Premio Molière (il massimo riconoscimento teatrale francese), si chiama L'uomo dai mille volti, un one-man-show (con cui sarà di nuovo in tournée in Italia dal prossimo ottobre) in cui l'artista torinese dà vita a ottanta personaggi in cento minuti con rapidissimi e funambolici cambi di abito, trucco e atmosfere ...





La Luna sulla Terra
Atacama, Cile

Qui, un tempo, c'era l'oceano. Da milioni di anni l'Atacama è un deserto, il più arido del mondo. Un universo di rocce, dune, distese salate - stretto tra la Cordillera della costa e quella delle Ande che non permettono alle nuvole di raggiungerlo - esteso per mille chilometri da sud a nord, a cavallo del Tropico del Capricorno, nel Cile settentrionale che fronteggia il Pacifico. In alcune sue zone non piove mai o le precipitazioni sono così irrilevanti da non essere registrate dalle stazioni meteorologiche e, prima ancora, dalla memoria dell'uomo. Al suo centro c'è un luogo che gli indigeni chiamano la "doppia ombra della pioggia" e che i climatologi, considerandolo la regione più secca del pianeta (anche più di certe zone dell'Antartide), definiscono il "deserto assoluto". Per il clima a tal punto asciutto, il cielo è così straordinariamente limpido che tra le sue montagne sono concentrati alcuni tra i più importanti osservatori astronomici esistenti. "Certi luoghi del mondo hanno ricevuto come destino una crosta terrestre spogliata di ogni grazia vegetale e di ogni tenerezza d'acqua. Solo alzando gli occhi si incontra, a consolazione di questa penitenza, il cielo azzurro, secco e puro", scriveva Gabriela Mistral, premio Nobel per la letteratura nel 1945, nata ai suoi margini. L'Atacama è un unicum desolato, riarso, un regno minerale con caratteristiche vicine a mondi altri come Luna e Marte, tanto che a più riprese scienziati della Nasa vi hanno effettuato prove per testare la tecnologia di nuovi veicoli per future esplorazioni lunari o di robot costruiti per la ricerca di segni di vita sul pianeta rosso. Un posto ostile, irreale, dalla bellezza spaventosa, attraente. Una destinazione possibile per un viaggio sulla Luna da compiere senza lasciare la Terra. Una combinazione di natura e archeologia ...






Il viaggio di Marco Polo 3

Cina
La steppa punteggiata di neve sembra un lago ghiacciato dai riflessi verdi e marroni che si spinge fino all'orizzonte, alle pendici delle montagne. Nel bianco della tormenta non si vede che la base dei colossi che dai 4.000 metri dell'altopiano verticalizzano fino a 5-6.000 metri. Allenando l'occhio, si scorgono in lontananza gruppi di yak, pecore, cavalli; rare costruzioni in terra, piatte per non disperdere il calore. La strada è una pista sterrata, quasi sempre dritta, percorsa ogni tanto da piccole carovane di cammelli e da carretti trainati da asinelli, con famiglie accovacciate dietro. Segue in sostanza il percorso dell'antica Via della Seta, che risaliva dalla Persia fino all'odierno Pakistan. Poi esce il sole, che fa scordare per un po' la durezza delle condizioni di vita, e appaiono scorci di vallata felice: praterie bagnate dalle acque che filtrano dai ghiacciai, animali che pascolano sulle alture, catene parallele di montagne che incorniciano spettacolarmente il quadro. Questi paesaggi sono così da secoli, Marco Polo - sulla via verso il Catai - li ha visti: "Arrivati in alto e tanto si sale che si dice essere quello il luogo più alto del mondo, si apre un pianoro fra due montagne con un vasto lago dal quale esce un bellissimo fiume. Vi sono i migliori pascoli del mondo" ...







Il viaggio di Marco Polo 1

Venezia, Italia

Nell'angolo più nascosto della sala XIV del Museo Correr, di lato a globi celesti e terrestri e a vedute della Serenissima nei secoli, c'è una statua di legno ricoperto di lamine dorate. È una cineseria, probabilmente arrivata a Venezia nel '700, secolo di quel gusto spinto per l'Oriente. La copia di un idolo venerato nel Tempio dei Cinquecento Genii di Canton, l'ultimo esempio rimasto dell'arte lignea cantonese, perché il tempio è andato distrutto in un incendio. Rappresenta un uomo su una sedia, con fattezze cinesi e alcuni elementi stranieri: la bombetta, il mantello, barba e baffi all'occidentale. Un melograno tra le mani in posa meditativa, segno di buona fortuna. La statua raffigurerebbe un uomo potente, ricco, influente ed è ritenuta - come recita la targhetta a fianco - l'effigie di Marco Polo. Di certo, in tempi di cultura globale, popolarissimo nella Cina di oggi; ma evidentemente rispettato anche ieri come straniero notabile, sebbene vi siano relativamente poche evidenze sul suo lungo soggiorno cinese perché finora nessuno - tra gli specialisti - è riuscito a capire quale nome avesse adottato. A Venezia, suo probabile luogo di nascita, le certezze aumentano. Ogni gondoliere, per esempio, sa dov'è la casa di Marco Polo. E la include immancabilmente nel suo classico giro panoramico. Una volta lasciato Canal Grande, imbocca rio San Lio e, oltrepassato il ponticello del Teatro detto anche di Marco Polo, fa sosta nel canale stretto pochi metri di fronte al Malibran. Lì, dove ora c'è il teatro, sorgeva un tempo la duecentesca casa dei Polo …






Brescia, i
tesori della Leonessa
Lombardia, Italia

Celtica, romana, longobarda, carolingia, veneta, rinascimentale. Brescia non ha un'anima. Ne ha molte. Stratificate, sovrapposte. Memorie di civiltà e dominazioni susseguitesi in 2500 anni di storia: dalla fondazione ligure all'insediamento gallo-cenomane, dalla civis romana tra le più potenti del nord d'Italia all'egemonia veneziana. Tracce racchiuse nel nucleo antico della città, che ha conservato l'impianto a scacchiera di duemila anni fa. Intrecci di epoche e arte da scoprire camminando, perché tutto è vicino, a misura d'uomo. Torri medievali accanto a palazzi rinascimentali, cupole tardo-barocche che svettano su colonnati romani, vicoli del Duecento che sbucano in piazze piacentiniane. Il gioiello raro è il Monastero di Santa Giulia, trasformato in spazio museale e diventato il Museo della Città: un immenso complesso monastico - fatto erigere nel 753 dal duca Desiderio, futuro re longobardo, su strutture romane preesistenti - che per estensione e posizione strategica, nel cuore dell'antica Brixia e ai piedi della collina del Castello, raccoglie un insieme unico di testimonianze del passato ...





Eur, la terza Roma

Lazio, Italia

Nella percezione di abitanti e visitatori della Città Eterna, l'Eur è sempre stato un mondo a parte. Una città nella città, fin dalla sua nascita. Figlia del sogno della costruzione di una "urbe nuova", tra il centro storico e il mare, che per qualità architettonica e urbanistica fosse paragonabile a quella antica: "la terza Roma si dilaterà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle spiagge del Tirreno". La sua storia comincia tra la fine degli anni Trenta e l'inizio dei Quaranta quando furono progettati e parzialmente realizzati i complessi che avrebbero dovuto ospitare l'E42, l'Esposizione universale di Roma del 1942, l'"Olimpiade delle Civiltà" voluta da Mussolini per celebrare il ventennio fascista accogliendo "quanto compiuto dalle varie nazioni nel campo spirituale e materiale". Ma gli eventi bellici interruppero i lavori, fermando a lungo i cantieri. L'esposizione non si tenne mai e molto, non tutto, fu completato solo nel tardo dopoguerra. Per molto tempo l'immagine dell'Eur ha risentito dell'inevitabile accostamento con il regime fascista. Ora il pregiudizio post-bellico, per cui quell'architettura era considerata negativamente perché troppo legata agli intenti celebrativi del regime (l'architettura si è fatta molte volte instrumentum regni), sembra archiviato ...


Sotto il cielo di Nostradamus
Provenza, Francia

Cinquecento anni fa, in un piccolo villaggio della Provenza, da una colta e ricca famiglia di ebrei convertiti, nasceva Michel de Nostredame. Futuro dotto, umanista, "medico astrofilo" come amava definirsi. E, soprattutto, estensore di pronostications (predizioni) di successo, tanto da diventare astrologo ufficiale della regina madre Caterina de' Medici, medico personale del giovane Carlo IX e autore di uno dei primi best-seller della storia dell'editoria, le Profezie pubblicate con immediato successo a Lione nel 1555. Michel de Nostredame detto Nostradamus, nome latinizzato che forse si diede da sé e che la leggenda vuole gli sia stato dato da Rabelais, compagno di studi di medicina all'università di Montpellier. Un destino iscritto nel soprannome: "diamo ciò che è nostro", la trasmissione del sapere, in particolare delle singolari capacità divinatorie accreditategli. Capacità che riversò nelle Profezie scritte in quartine a gruppi di cento e perciò chiamate anche Centurie. E che lo fecero diventare il "più fascinoso dei profeti moderni, colui che predisse, presagì, indovinò e scrisse miracolosi, anche se oscuri, oracoli", come scrive Giorgio Manganelli in apertura di una delle sue Interviste impossibili ...

 

La ragazza di Delft
I luoghi di Veermer, Olanda

Grandi occhi scuri, labbra rosse leggermente dischiuse, un'espressione dolce ed enigmatica, sospesa in una sorta di attesa, la testa girata di tre quarti verso l'osservatore, un turbante di seta, un orecchino di perla grigio e bianco, simbolo di purezza e vanità, punto di attrazione dello sguardo, centro di equilibrio della composizione, a cui l'alternarsi di zone buie e illuminate conferisce una lucente intensità. La Ragazza con l'orecchino di perla di Johannes Vermeer è tornata a far parlare di sé grazie al successo dell'omonimo romanzo di Tracy Chevalier che, prendendo ispirazione dal quadro, immagina e narra la vita della giovane Griet a servizio in casa Vermeer e il rapporto di complicità che si stabilisce con l'artista che infine la ritrae nel dipinto. Quel che è ritenuta la Monnalisa olandese si può contemplare, da un secolo, nelle sale del Mauritshuis, situato a fianco del Castello Reale dell'Aia, assieme ad altri splendori del Seicento olandese, come La lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp di Rembrandt, e a opere di Rubens, Van Dijck, Steen, Hals, Potter riunite nella Collezione del Gabinetto reale di pittura. Nella stessa sala della Collezione è esposto l'altro capolavoro riconosciuto di Vermeer, la Veduta di Delft, che Marcel Proust, in viaggio attraverso l'Olanda agli inizi del secolo scorso, aveva potuto vedere dal vivo e riteneva "il quadro più bello del mondo ...

 

Il tropico perfetto
Hawai'i, Usa
Sulla spiaggia di Waikiki un gruppo di ragazze e ragazzi si gode l'ultima luce del giorno. Hanno corpi curati, gli occhi spesso allungati di chi discende dai primi abitanti di questa terra o vi è arrivato da Oriente. A turno imbracciano il surf e vanno incontro alle onde. Non lontano, in un angolo più appartato, un duo di maturi signori in costume da bagno intona un canto in hawaiiano. "È un saluto al tramonto" dice uno dei due performer, Mr. Midnight; lo chiamano così, spiega, perché la sua pelle già scura, sempre esposta al sole, "è ormai nera come la notte". "Non ti sembra il paradiso?" chiede, senza aspettare la risposta, indicando la scena attorno, i riflessi scarlatti del cielo sul mare. Alle Hawai'i il paradiso è di casa; termine evocato all'infinito nel nome e nella pubblicità di hotel, ristoranti, agenzie di viaggio, business vari. Paradiso cercato, ritrovato, reinventato. Una mistica articolata, dall'anima commerciale. Perché le Hawai'i sono (vogliono essere) l'esaltazione, la concretizzazione del sogno esotico accessibile (a parte la distanza) a tutti, un luogo superorganizzato, spettacolare e divertente, benedetto dal sole e innaffiato da qualche pioggia. Fun&Sun, insomma, più tonnellate di aloha (pronunciato alòaaaaa), l'onnipresente saluto-motto nazionale che significa amore (un nome, un suggerimento di programma). American way of life in contesto tropicale: grattacieli e vulcani, spiagge e highways, ukulele e camicia a fiori ...

 

L'aurora di Vincent
I luoghi di Van Gogh 1, Olanda
"La pittura é un mondo in sé", aveva scritto un giorno Vincent alla madre. Attraverso uno smisurato talento figurativo, quell'uomo solitario, mistico, dominato dalle passioni, "pazzo", andava plasmando il proprio. Progressivamente più compiuto, tormentato e - perché no? - felice. Affollato di ombre e toni scuri, nello stadio aurorale olandese; traboccante di luce e colori vibranti, nella fase matura francese. Nella sua Olanda natale, la memoria di Vincent - come, semplicemente, Van Gogh si firmava - è rintracciabile in due straordinari musei (quello di Amsterdam che porta il suo nome e quello di Otterlo nel bel mezzo della più grande riserva naturale del paese) e nei luoghi dipinti: le spiagge dell'Aia, i campi e i villaggi di contadini del Brabante e della Drente, regioni fuori dai consueti itinerari turistici. Un'Olanda minore, a vocazione rurale, dall'orizzonte sempre lineare, rotto di tanto in tanto dall'argine rialzato di qualche canale, attraversata da strade a scorrimento veloce e da innumerevoli quiete piste ciclabili. È qui che, un secolo e mezzo fa, Vincent nasce. In un piccolo villaggio, Zundert, che oggi rende omaggio al tanto illustre concittadino con una statua che lo mostra in compagnia del fratello Theo, mercante d'arte, suo alter-ego e mecenate. Vincent arriva tardi alla pittura. Cerca a lungo la sua strada ...

 

Alla corte di Corto
Transiberiana

Hugo Pratt aveva un sogno che non riuscì a realizzare: vedere, un giorno, Corto Maltese sul grande schermo. In fondo, il suo "gentiluomo di fortuna" era figlio di molte letture (Stevenson, Conrad, Melville, London, i fumetti d'avventura americani), delle esperienze dirette di una vita da giramondo, ma anche di quel cinema esotico della Hollywood degli anni '30 che il disegnatore veneziano aveva appassionatamente frequentato in giovinezza. Pratt aveva fantasticato di affidare la parte del suo marinaio a Burt Lancaster, per poi accantonare l'idea poiché la star americana era diventata troppo anziana per interpretarlo. Aveva anche confidato di essere stato contattato da emissari di Spielberg, che ne avrebbe voluto fare un Indiana Jones più sofisticato; ma alla fine il progetto era sfumato. Ora, dopo anni di sussurri e ipotesi, una coproduzione franco-italiana - France 2 Cinema, Rai Cinema, Canal Plus - è riuscita ad arrivare in fondo. E Corto Maltese ha finalmente debuttato al cinema, con un film di animazione che il regista francese Pascal Morelli (con la consulenza artistica di Patrizia Zanotti, principale collaboratrice del disegnatore veneziano, ora alla guida della casa editrice Lizard che pubblica in Italia le opere di Pratt) ha tratto dalla più cinematografica delle dodici avventure scritte e disegnate da Pratt con Corto protagonista: "Corte Sconta detta Arcana". Presentato in anteprima il mese scorso al Festival di Locarno, "Corto Maltese, la corte degli arcani" è uscito in questi giorni in Francia e sarà sui nostri schermi ...

 

L'esploratore dell'ignoto
I luoghi dell'Odissea 2, Mediterraneo
Itaca è un'isola ancora relativamente intatta, non ha ceduto a cemento e strade. È massiccia e compatta; aspra e scoscesa a est, declina dolcemente a ovest, "piena di pietre" (come viene descritta nell'Odissea), ma anche di verde: un trionfo di ulivi, cipressi che spuntano dalla macchia mediterranea e poi, più su, pini e abeti. Le sue spiagge non sono spettacolari, ma ogni tanto si aprono baiette tra coste di roccia che digradano in acque scure e villaggi come Frykes e Kyoni, sulla costa nord, sono bei posti con piazzette su golfi quieti, reti sparse sul molo ad asciugare. Memoria del passato? Poca. Un paio di piccoli musei (quello di Vathy conserva una minuscola testa bronzea di Ulisse e monete del IV secolo a.C. con teste di Ulisse e Atena), tanti nomi e insegne che richiamano il mito: Odysseus Café, Hotel Nostos, Penelope Market, Restaurant Ulysses, Polyphemus Restaurant. Si vendono edizioni dell'Odissea in molte lingue: greco, inglese, tedesco, francese. La gente parla più italiano, che inglese. È gentile e discreta. Quando chiedi, come a Stavros, "il palazzo dov'è?", la risposta è "un po' dappertutto". Risuonano familiari i versi della poesia di Kavafis: "Anche se la trovi povera, Itaca non ti ha illuso. Così saggio sei diventato, e così esperto: avrai capito Itaca, che cosa significa". Tornare e andare, cercare. Ulisse, intanto, si presenta a palazzo nelle vesti di un mendicante e consuma la feroce strage dei Proci pretendenti. L'abbraccio con Penelope compone tutto. Dopo l'odissea (termine che ancora oggi indica un "peregrinare carico di vicissitudini") e prima, chissà, della ripresa del viaggio (secondo la parte finale della profezia di Tiresia: "quando, nelle tue case, i pretendenti li hai sterminati, prendi allora il maneggevole remo e va', finché arrivi da uomini che non sanno del mare"), il mondo appare di nuovo in ordine ...

 

La signora dei Caraibi
L'Avana, Cuba

L'Avana ha quasi cinque secoli. Era il porto più importante delle Americhe spagnole, il "baluardo delle Indie", la ricca capitale del tabacco e dello zucchero. Oggi è come una vecchia signora provata dall'età (dall'embargo e dalle ricorrenti crisi economiche), il cui volto sta in parte ringiovanendo per l'imponente lavoro di restauro in corso. Ma le sue rughe sono ancora profonde. Svelano un'anima sospesa nel tempo, ancorata a uno stadio di sviluppo di qualche decennio fa, lontana dall'occidentalizzazione che impera nel resto del Caribe. Un'anima singolare, fiera, vitale e decadente. All'Avana si può facilmente esser preda dell'estetica della rovina, di quella "strana bellezza fra le rovine" di cui parla lo scrittore Guillermo Cabrera Infante, voce in esilio che continua a cercare "lo splendore antico dell'Avana" nelle città del mondo che visita e descrive. I palazzetti d'epoca e le vecchie case dai portici alti hanno spesso facciate scrostate, balconate e interni pericolanti, per la cronica mancanza di interventi di manutenzione. Su molti edifici l'intonaco non c'è quasi più, caduto per l'umidità, il sole, la salsedine. Domina uniforme una gradazione di colori tenui, dal grigio della pietra a porzioni di rosa pallido, giallo paglia, malva che fu ...

 

Impressioni di Normandia
I luoghi di Monet, Francia

La rivoluzione impressionista ebbe inizio qui. Tra la valle della Senna e le rocce a picco della costa della Normandia. Molti vennero a cercare la luce. Vibrazioni, effetti transitori sul soggetto. Vennero per il vento e le nuvole che arrivavano dall'oceano a variare di continuo la percezione dei luoghi. Vennero per studiare i riflessi della luce cangiante sulla superficie dell'acqua, fosse quella del grande fiume o delle maree; per affinare le capacità visive davanti alle tinte scolorite dal sole, alle sfumature mutevoli del cielo e del mare. Qui, non lontano dal polo parigino, ma sufficientemente distanti per ritrovare un rapporto diretto con la natura, si compì - nella seconda metà dell'800 - la rivoluzione che per molti diede avvio all'arte moderna o, quantomeno, la spallata decisiva ai canoni greco-romani imposti dall'Accademia. Alcuni pittori "liberarono il proprio tocco", uscirono dallo studio e si misero a dipingere en plein air, all'aperto, di fronte al proprio soggetto, per rinnovare l'impressione ottica e cogliere l'immediatezza dal vero. Non appartenevano a un movimento organico, a una vera e propria scuola. Avevano sviluppato, piuttosto, un orientamento pittorico comune che voleva tagliare di netto con la tradizione: passare dalla descrizione all'impressione, mettere il paesaggio - con la sua luce - al centro della scena. Con tratti a volte energici, a volte lievi, punti, macchie, virgole, sfumature, tocchi larghi e irregolari, pennellate di colore vivo, che diventa "pura vibrazione cromatica" per restituire il più possibile l'istante rappresentato ...

 

Al Sole nero
Africa Australe

Il 2001 è gia un anno memorabile per chi ama rivolgere lo sguardo al cielo stellato sopra di noi. Gennaio: eclissi totale di Luna visibile anche dall'Italia. Febbraio: nelle sale riappare, restaurata, la leggendaria "odissea nello spazio" kubrickiana. Marzo: quel che resta della stazione orbitante russa Mir brucia nell'atmosfera sopra il Pacifico meridionale. Aprile: guadagna la ribalta la Stazione spaziale internazionale, raggiunta dal primo astronauta europeo, l'italiano Umberto Guidoni. Maggio: rientra sulla Terra Dennis Tito, miliardario statunitense e primo turista dello spazio. E a giugno? Per il 21, giorno del solstizio, nei cieli dell'Atlantico meridionale e dell'Africa australe si annuncia quel che è stato definito lo spettacolo naturale più impressionante a cui si possa assistere dalla Terra: un'eclissi totale di Sole. Il cono d'ombra della Luna - determinato dall'allineamento del Sole, della Luna e della Terra - farà la sua prima comparsa al largo delle coste meridionali dell'Uruguay (per 2 minuti e 6 secondi); muovendosi a una velocità di più di 2268 chilometri all'ora, attraverserà l'Oceano Atlantico passando a nord dell'isola di Sant'Elena, dove raggiungerà la sua massima durata (4 minuti e 56 secondi) alle 12.03 Universal Time. Si sposterà poi sul continente africano, toccando in successione Angola, Zambia, Zimbabwe, Mozambico e infine il Madagascar prima di esaurirsi nelle acque dell'Oceano Indiano dopo una corsa di circa 12 mila chilometri compiuta in 2 ore e 54 minuti. Il tracciato dell'ombra della Luna proiettata sulla superficie terrestre costituisce il cosiddetto "sentiero della totalità", una fascia ampia circa 200 chilometri al cui interno l'eclissi è totale. All'esterno di questo tracciato si è nella zona di "penombra" lunare, che il 21 giugno si estenderà dal Brasile fino a tutta l'Africa subsahariana, dove sarà perciò visibile un'eclissi parziale di Sole di magnitudine decrescente man mano che ci si allontana dalla fascia di titolità ...

 

Le pietre del mistero
Stonehenge e Avebury, Inghilterra

Ti accorgi di essere vicino quando le auto rallentano per mettersi in fila. Poi lo vedi, troneggiare grigio in mezzo alla pianura smeraldo. Un cerchio titanico, antico cinquemila anni: Stonehenge, le "pietre sospese", l'icona britannica più potente, al di là dei Big Ben e London Bridge, dei bus a due piani e delle guardie della regina. Il circo del turismo lo avvolge. Mega-parcheggi, aree per pic-nic, gruppi organizzati, venditori di souvenir. Attorno, la piana di Salisbury, contea di Wiltshire, Inghilterra meridionale, collinette e pecore all'orizzonte. La strada passa a non più di cento metri dal complesso megalitico, tagliando il viale di accesso originario. Il sito è recintato, il cartello all'ingresso ricorda che si sta per render visita al "più grande mistero del mondo preistorico". L'insieme di strutture di terra, legno e pietra conosciute con il nome di Stonehenge è una sorta di cattedrale preistorica, complessa e sofisticata, con una lunghissima storia di costruzioni e rimodellamenti successivi, come ogni cattedrale che si rispetti, durata all'incirca quindici secoli e suddivisa in tre fasi principali: la delimitazione del cerchio, l'individuazione del centro, l'edificazione della struttura ...

 

La repubblica dello spirito
Monte Athos, Grecia

Esiste, in Europa, una repubblica dello spirito. Nella più orientale delle tre lingue di terra che compongono la penisola calcidica, nel nord-est della Grecia. Al confine tra Oriente e Occidente, Bisanzio e Roma, gli uomini e Dio. Abitata unicamente da monaci, da più di un millennio, in fuga dal mondo per salvarsi l'anima. Consacrata alla preghiera, vietata alle donne. Sorge su una grande porzione di terra (lunga più di 40 chilometri e larga in media una decina), specie di riserva naturale punteggiata soltanto da rari insediamenti religiosi, conosciuta col nome di Agion Oros - la "montagna sacra" - perché il suo territorio coincide con l'estensione del monte che troneggia, da più di 2000 metri, sulle acque turchine dell'Egeo: l'Athos, creato, recita la leggenda, da un enorme masso scagliato nella lotta tra Poseidone, dio del mare, e un gigante chiamato, per l'appunto, Athos. La natura aspra (roccia sul versante occidentale e macchia su quello orientale, valloni e dirupi, e poi ulivi, fichi, castagni, pini) e in pratica intoccata (non vi sono villaggi né abitazioni o campi coltivati fuori dai recinti degli stanziamenti) aveva attratto, fin dai primi secoli dopo Cristo, avanguardie di asceti ed eremiti ...

 

Spiaggia bianca e mare blu
Mare d'inverno, Maldive

Atollo: una spruzzata di palme attorniata da spiagge bianche in mezzo a un mare blu. Le Maldive ne rappresentano la quintessenza (il termine stesso, come spiega l'Oxford English Dictionary, deriva dal maldiviano "atholhu"). E un viaggio alle Maldive, anche in epoca di spostamenti di massa, significa realmente provare a mettere in pratica, di persona, un'esperienza radicalmente diversa da quella a cui è abituato chi vi sbarca. Perché è un mondo fatto essenzialmente di acqua (il mare costituisce più del 99% del territorio delle Maldive e la superficie delle terre emerse è di solo 298 chilometri quadrati). Perché non vi sono costruzioni che superano in altezza le palme. Perché, a parte un po' di traffico e affollamento nell'isola principale, non vi sono moltitudini, né automobili, né grandi rumori. Perché ogni isola si può attraversare a piedi in pochi minuti (solo poche isole sono più lunghe di un paio di chilometri; la più lunga, Hithadhoo nell'atollo di Adu, è lunga 8 chilometri). Perché l'orizzonte è libero, senza chiusure, delimitato solo da diversi strati di barriera corallina e da un sistema complesso di lagune e canali interni. Perché soffiano venti monsonici su acque che sembrano, a volte, di cristallo. Perché si percepisce una rara sensazione di distacco, di quiete, di possibile grazia ...

 

Il pensiero selvaggio
I luoghi degli Aborigeni, Australia

Le storie dell'Australia sono due. Una bianca e una nera. Quella bianca (prevalentemente europea), iniziata nel 1770 con la scoperta di Cook e proseguita nel 1788 con l'arrivo delle prime navi di colonizzatori inglesi, ha portato allo sviluppo di oggi, celebrato in questi giorni dal gran spettacolo delle Olimpiadi. Quella nera (aborigena) è incomparabilmente più antica e meno nota; affonda le sue radici in un tempo indeterminato, più in la' di ogni altra cultura vivente: di certo fino a 50-60 mila anni fa, anche se altre stime fanno risalire l'arrivo delle prime tribù di cacciatori-raccoglitori chi a 80 mila, chi addirittura a 120 mila anni or sono. Quando la First Fleet arrivo' dall'Inghilterra, gli abitanti originari - aborigeno è un termine introdotto dai colonizzatori per definire i vari gruppi indigeni, circa 400, che vivevano nel continente - erano 300 mila (ma, anche qui, c'è chi arriva a parlare di un milione). Oggi i loro discendenti rappresentano una piccola minoranza nel miscuglio di razze australiano: solo il 2,1 per cento dei 19 milioni di aussies, concentrato soprattutto nel nord e nel centro del paese. È lì che bisogna andare per ritrovare la loro cultura. Divenuta inevitabilmente, visto che l'Australia è il paese più urbanizzato del mondo, in parte metropolitana; molti aborigeni infatti vivono - spesso integrati, non di rado ai margini - nelle citta'. Ma sono gli spazi aperti della Grande Natura Australiana lo scenario privilegiato della cultura nativa ...

 

Vallate imperiali
Tirolo e Vorarlberg, Austria

Per l'imperatore Massimiliano I e l'imperatrice Maria Teresa, Innsbruck era "la più bella tra le città delle terre tedesche". Gli Asburgo la amarono e ne fecero uno dei centri dell'impero. Fondata otto secoli fa sulle sponde del fiume Inn (da cui il nome originario di Ynnsprugg, "ponte sull'Inn"), Innsbruck è oggi una "metropoli alpina" di 140 mila anime attorniata da una scenografica corona di montagne che occupa lo sguardo appena lo si spinge al di sopra di tetti e comignoli. Passeggiando per le strade acciottolate della città vecchia - tra botteghe, pasticcerie e ristoranti su cui campeggiano ancora le insegne di corporazioni e mestieri - si rintracciano i segni della gloria passata. Alla grandezza di Innsbruck aveva dato avvio Federico IV, detto delle Tasche Vuote, spostandovi la residenza principesca ...

 

L'eden nell'oceano
Ai confini del millennio 3, Fiji

Ci sono varie Fiji. Quelle aderenti spettacolarmente allo stereotipo da poster, delle spiagge bianche e delle lagune blu (il film, anzi i due Blue Lagoon, il primo del 1948 con Jean Simmons e il rifacimento del 1980 con Brooke Shields, sono stati girati qui) sullo sfondo di atolli, palme e mangrovie. E quelle, meno conosciute, delle genti che le abitano, l'"insalata etnica" di melanesiani, indiani, polinesiani, cinesi ed europei che anima villaggi immersi nella giungla, piantagioni assolate e città costiere fradice per la pioggia. Certo i resort, costruiti in posti il cui nome è già promessa di tropici beati (Paradise Island, Coral Coast, Turtle Island), sono di norma super-organizzati, con servizi accuratissimi, più o meno lussuosi ed esclusivi (ma ci sono anche sistemazioni per chi va in giro con lo zaino o un budget limitato). E lo stesso discorso vale per le crociere tra le isole, i voli panoramici sui vulcani, le immersioni lungo le barriere coralline, le mille attività di svago pensate per viaggiatori rapiti dalla sindrome dei Mari del Sud, coppie in luna di miele, famiglie con prole o single giramondo. Ma non fatevi catturare soltanto da resort, villaggi vacanze, grandi alberghi e bungalow in riva al mare; spingetevi oltre. Inseguite l'anima del luogo cercando di accostarvi a chi vive nell'interno o lungo le coste di isole ancora fuori dai flussi turistici che stanno trasformando le Fiji nelle Hawaii del Sud Pacifico. L'occasione la fornisce la celebrazione del 2000 e del passaggio al terzo millennio. Sì, perché le Fiji (insieme alla Siberia) sono l'unica terra del mondo a essere attraversata dal 180° meridiano. Traiettoria leggendaria, e altrettanto immaginaria, che i figiani rivendicano come l'unico criterio da utilizzare per stabilire correttamente la demarcazione tra il giorno prima e il giorno dopo - e perciò tra il nuovo e il vecchio anno, secolo e millennio - non certo la Linea internazionale del cambiamento della data, modificata a piacimento e secondo convenienza dai singoli stati ...

 

Il piccolo regno dell'oceano
Ai confini del millennio 1, Tonga

Taufa'ahau Tupou IV è l'ultimo re del Pacifico. Dal 1967 è sovrano di Tonga, l'unico paese dell'area a non essere mai stato dominato da una potenza straniera, la sola monarchia oceanica a esser sopravvissuta alla modernizzazione innescata dagli europei. Tonga ovvero "il regno dell'antica Polinesia", come si presenta e autopromuove dappertutto, fin dal formulario di entrata da compilare in aeroporto. O anche "il paese dove inizia il tempo", per la sua prossimità alla Linea internazionale del cambiamento della data (che corre qualche grado più a est), slogan già solenne e regale tempestivamente aggiornato, con l'approssimarsi al 2000, in "il paese dove inizia il millennio". Tupou IV, 81 anni, un quintale e mezzo di peso, ma ancora molto attivo, regna su centomila sudditi, per il 95% di pura discendenza polinesiana, e 171 isole (ma il numero varia perché ogni tanto, per l'intensa attività vulcanica, ne emerge una nuova, l'ultima all'inizio di quest'anno), di cui solo una quarantina sono abitate. Pescate una a una dal fondo dell'oceano con un amo sacro - come vuole il mito creatore - da Maui, divinità comune a tutte le culture polinesiane, le terre emerse ammontano ad appena 700 chilometri quadrati che si estendono tuttavia su una superficie di 700.000 chilometri quadrati, più che doppia rispetto a quella dell'Italia, a metà strada fra l'Australia e Tahiti. Questo pezzo di Polinesia, dove per fortuna non sono arrivati i super-resort in serie, sembra aver conservato una sua genuinità, fondata sulle consuete caratteristiche da eden dei Mari del Sud (spiagge bianche orlate di palme, acque trasparenti abitate da grandi varietà di pesci, schiere di alberi e piante generose di frutti, clima temperato da alisei costanti) e fatta anche, perché no?, dalle architetture dissonanti (rispetto al contesto) dei numerosi edifici d'epoca vittoriana, e anche da reperti archeologici, tra i più imponenti del Pacifico, come le sepolture reali a terrazza delimitate da grandi massi di corallo dell'antica capitale Lapaha e, soprattutto, il grande blocco di pietra, simile a un dolmen, Ha'amonga'a Maui o Trilithon, risalente probabilmente al 1200 d.C., soprannominato la Stonehenge del Pacifico ...

 

Monument Valley
Arizona e Utah, Usa

In principio fu Ombre rosse, girato nel 1938 da John Ford con John Wayne e un'umanità varia che attraversava l'America sopra una diligenza (la celebre sequenza dell'assalto indiano venne girata da una cinepresa montata su un'auto che correva a fianco dei cavalli a 60 chilometri l'ora). Primo film sonoro di Ford, Ombre rosse non fu propriamente il primo film a essere ambientato nella Monument Valley (George B. Seitz vi aveva già girato nel 1926 The Vanishing American), ma quello che la mostrò in modo così potente da farne il simbolo stesso del West, la quintessenza del western. Di certo la Monument Valley è il set naturale più usato al mondo; probabilmente, ancor meglio del Grand Canyon, il paesaggio che racchiude maggiormente il genius loci americano. E, sebbene non faccia parte del Grand Circle, è un pellegrinaggio d'obbligo se si va in quell'angolo d'America ...

 

In viaggio con Corto
I luoghi di Corto Maltese

Per Hugo Pratt il fumetto non era che "letteratura disegnata". Attraverso il disegno narrava storie. "Sono un disegnatore" amava dire, "e dunque il mio mondo è fatto di immagini, che ho visto o che si sono formate nella mia fantasia dopo aver letto o ascoltato un racconto, una descrizione, una sensazione". Quel mondo era fatto soprattutto di avventure, scenari esotici, paesaggi aperti, isole dei Mari del Sud, villaggi africani, avamposti di frontiera, ma anche calli di Venezia e angoli di Salvador de Bahia e Buenos Aires. Era popolato di personaggi duri e generosi, donne misteriose, qualche gaglioffo e pirata, sacerdoti maya e stregoni vudù, soldati di cause sbagliate, ragazzi obbligati a crescere in fretta. Con un protagonista costante, Corto Maltese, marinaio dal gusto raffinato per l'avventura, un dandy dalla corazza forte e l'animo gentile, spirito romantico che salta e naviga da un angolo all'altro del pianeta, a volte grazie alla sola immaginazione, oppure ad arti magiche e sostanze allucinogene, sempre alla ricerca di qualcosa, sulle tracce di una leggenda, di un manoscritto perduto, di un tesoro nascosto. Personaggio culto, eponimo del viaggiatore, alter ego del suo creatore Hugo Pratt, la cui vita fu realmente piena di viaggi, dall'Etiopia dell'adolescenza all'Argentina della giovinezza, fino al Nordamerica e al Pacifico della maturità, terre e mari attraverso cui si muoveva, in pellegrinaggio, mosso da una vitalissima curiosità e brama di vivere, ma anche per approfondire le sue ricerche e rendere omaggio ai suoi miti, da Robert Louis Stevenson a Butch Cassidy e Sundance Kid ...

 

La leggenda del Dio vulcano
Guatemala

Beatriz sapeva che prima o poi sarebbe successo. Suo marito, il "comandante degli uomini con la barba", era sempre sul campo di battaglia. Pedro de Alvarado era un conquistador, uno dei più spietati ed efficaci luogotenenti di Cortés. In pochi anni, eliminato il capo maya Tecùn Umàn (ucciso dal cavaliere che pensava di aver abbattuto dopo averne colpito il cavallo, lui che credeva che uomo e cavallo fossero parte di una stessa creatura), Alvarado aveva conquistato gran parte delle terre meridionali dei maya. Ma quando Beatriz apprese della morte in battaglia del marito, impazzì di dolore e, proclamatasi governatrice, ordinò di ricoprire con drappi neri l'intera capitale, la muy Noble y muy Leal Ciudad de Santiago de los Caballeros de Goathemala. Beatriz de la Cueva, sesta e ultima moglie di Don Pedro, governò per molto poco, perché appena trenta ore dopo il Volcan de Agua rovesciò un'immensa cascata di acqua e pietre sopra la città, sommergendola completamente. Era il 1541. Due anni dopo,in una valle vicina, sorse una nuova capitale, oggi nota come La Antigua Guatemala o, più semplicemente, Antigua. Dall'alto del Cerro de la Cruz, in una soleggiata mattina tropicale, ne contempli la perfetta scacchiera di calles e avenidas immersa nel paesaggio disegnato dal cono del gigante Agua (3760 metri di vulcano ancora attivo), i cui profili degradano lineari fino a confondersi con la grande pianura lavica. Siamo sull'altiplano, a 1530 metri di altitudine, al centro di una terra dominata dagli umori squassanti dei vulcani (più lontano si scorgono anche il Fuego e l'Acatenango, altri ciclopi di quasi 4000 metri). Antigua è una città-museo, ovviamente appartenente alla lista del patrimonio dell'umanità dell'Unesco, gemma di architettura coloniale risalente al XVII e al XVIII secolo, risparmiata dalla modernità grazie alla minaccia costante dei temblores ...

 

I giganti di pietra
Isola di Pasqua

"Il posto giusto è il vulcano", aveva raccomandato il vecchio polinesiano. "Sulla costa orientale dell'isola, proprio di fronte al Sudamerica. Nessun timore, è spento da secoli". L'ideale, aveva assicurato con l'autorità di capo del locale Consiglio degli anziani, per "avvicinare la vera anima dell'isola". Di preferenza nelle prime o ultime ore del giorno, lontano dalle folle di visitanti in gruppo. Ore di quiete luminosa, percorse solo da cavalli bradi in cerca di pascoli e dal vento - "signore dell'isola", per Pablo Neruda - che soffia costante dall'oceano, risale le pendici rotonde del cono e sfocia nel catino di terra rossa dell'antica caldera occupata ora da un lago d'acqua piovana circondato da canne di totora. Qui, nel cratere e lungo le pareti di Rano Raraku, cave perfette di tufo malleabile, gli antichi abitanti fabbricarono per secoli i propri idoli, che poi sparsero per tutto il territorio: gigantesche statue di roccia vulcanica, alte fino oltre dieci metri e pesanti una dozzina di tonnellate, raffiguranti gli antenati tribali divinizzati, chiamate moai. Per rendere omaggio alle forze della natura, convogliare l'energia spirituale, mediare tra la terra, su cui le statue poggiavano, e il cielo, verso cui si proiettavano, tra i viventi e gli dei. Oggi passeggiare qui, nell'antica cava dei moai, è come aggirarsi per le sale e i corridoi di un titanico museo all'aperto. Perché qui giacciono abbandonati circa 400 dei 900 moai rinvenuti sull'isola. Cristallizzati in diverse posizioni, a seconda della fase di lavorazione raggiunta: chi appena abbozzato ancora conficcato nella sua nicchia rocciosa; chi già estratto in attesa di essere completato e trasportato sulla costa; chi sulla strada verso l'altare di destinazione, ventre e faccia a terra o sprofondato nel terreno con lo sguardo rivolto all'orizzonte ...

 

Crociera sotto zero
Antartide

A sud di ogni sud, più giù di Patagonia e Terra del Fuoco, di Sudafrica, Tasmania e Nuova Zelanda, lande già lontane ai limiti del mondo, c'è un luogo ancora più remoto. Il solo dove per entrare e spostarsi non c'è bisogno di visti e passaporti, perché non ci sono Paesi o frontiere. Il solo che non appartiene a nessuno, ma all'intera comunità internazionale; che non è abitato permanentemente da nessuno, se non da pinguini, foche, otarie ed elefanti marini, balene e albatross. È l'Antartide, il Continente Bianco che si estende a corona per 14 milioni di chilometri quadrati (circa una volta e mezzo l'Europa) attorno al Polo Sud. Terre ricoperte di ghiaccio circondate da mare: una massa continentale, a est, e una teoria di piccole e grandi isole, a ovest, compattate da un immenso manto di ghiaccio dallo spessore medio di 2000 metri con punte oltre i 4000 metri. Antartide, impero dei pinguini, da Antarktos, il nome che i greci usarono per distinguerlo dall'emisfero nord dove brillava la costellazione dell'Orsa, Arktos appunto, e perciò Artide, regno degli orsi polari, l'esatto contrario dell'Antartide: mari, attorno al Polo Nord, coperti di ghiaccio e circondati da terre. L'Antartide è l'ultima grande area selvaggia del pianeta. Una natura aspra vi esercita un dominio quasi assoluto, costringendo l'uomo, più che altrove, a un adattamento difficile. Un luogo certamente estremo, con una serie di primati che rientrano nella categoria, abusata ma qui del tutto legittima, dello straordinario ...

 

La terra dell'avventura
Québec, Canada

La bandiera del Québec è azzurra, con una croce bianca circondata da quattro gigli, i fiori dei re di Francia, anch'essi bianchi. Ogni tanto sventola decisamente verso est e l'Atlantico, in direzione della madrepatria lontana da cui quattro secoli e mezzo fa partirono i primi esploratori e coloni del Nuovo Mondo. Più raramente il vento la gonfia verso ovest, rivolta alle grandi pianure, alla frontiera del Pacifico, al resto della federazione. Così va la storia del Québec, un alternarsi, soprattutto dagli anni '60, di spinte autonomiste e separatiste e volontà di continuare a essere parte di un tutto. Il tutto è il Canada, il più grande Paese del mondo, dopo lo smembramento dell'Unione Sovietica, con i suoi dieci milioni di chilometri quadrati. La parte è il Québec, la più estesa delle dieci province che costituiscono la federazione canadese, con un territorio vasto cinque volte l'Italia. Proiettata magnificamente verso il futuro, come da stereotipo nordamericano, stavolta vicino alla realtà, della frontiera: geografica, industriale, tecnologica. E visceralmente ancorata al passato, all'identità francese delle sue radici. Difatti, pur confinando saldamente con gli Stati Uniti a sud e altre tre province canadesi a est e a ovest (a nord c'è il Mar Artico), il Québec è un'isola. Un'isola linguistica e culturale. Un pezzo d'Europa in piena America; o, se si vuole, il Nordamerica più europeo, più latino che ci sia ...

 

Dai tropici a Capo Horn
Cile
La parola Cile, nella lingua degli indios Aymara, antico popolo andino, significa "là dove finisce la terra". Sembra uno slogan involontario per dépliant turistici di fine secolo, ideale per attrarre amanti delle destinazioni limite. Eppure forse mai come in questo caso vale la categoria, spesso abusata, del mondo ai confini del mondo. Quanto meno in termini geografici. Il Cile è infatti una striscia di terra sottile, stretta tra il Pacifico e le Ande, larga in media 180 chilometri e lunga ben 4.300. Una "follia geografica" con la testa ai Tropici e i piedi al Polo Sud e, di conseguenza, un campionario unico di ambienti e suggestioni naturali: deserti di sale e fiordi ghiacciati, steppe ventose e vulcani innevati, mari tempestosi e isole sperdute. Spazi remoti, dove lo stereotipo del limite si fa realtà e lo spaesamento tanto caro ai viaggiatori di frontiera diventa possibile. In luoghi avvolti nel mito, il cui solo nome basta per evocare l'altrove, come Patagonia, Terra del Fuoco, Isola di Pasqua, Atacama, Ande, Pacifico. La parola Cile, nel linguaggio della politica internazionale invece, evocava fino a qualche tempo fa gli spettri della dittatura militare. Il golpe contro Allende, i diciassette anni di repressione spietata, gli oppositori desaparecidos. La democrazia è tornata nel 1990, ma il generale Pinochet è sempre ineffabilmente lì. Ancora capo delle forze armate (fino a marzo) e poi senatore a vita, punto di riferimento per i settori più retrivi della società cilena e mina vagante per il resto. A intervalli quasi regolari si ode il rumore degli stivali dei carabineros o si levano le grida di chi attende giustizia per i crimini subiti; e viene da chiedersi se il Cile non sia tuttora una democrazia parzialmente sotto tutela. Eppure il Cile di oggi è considerato il Paese più ricco e stabile dell'America Latina, tanto da esser scelto da molte multinazionali come sede per i propri uffici continentali, con tassi di crescita record (7,2% annuo) e una pace sociale invidiabile ...





Gli artisti dell'altrove
Ravenna, Italia

C’è il Grand Tour e c’è l’Altrove. Nel Settecento i giovani aristocratici del Nord Europa incominciano a viaggiare nei luoghi della classicità, in Italia in particolare, per completare la propria formazione nel “grande giro” verso Sud. Si spostano alla ricerca di istruzione e piacere, per acquisire esperienza, far conoscenza del mondo, sviluppare indole e talento. È il viaggio nel «paese dove fioriscono i limoni» (Goethe), «in estasi nella contemplazione della bellezza sublime» (Stendhal), in «un paese incantato» dove «ogni scena sembrava già apparsa in sogno» scrive il paesaggista inglese Thomas Jones. Nell’Ottocento, muovendo dal centro del mondo di allora - l’Europa - alcuni artisti iniziano ad andare lontano. Seguendo il movimento di espansione coloniale, il disvelamento di nuove culture e geografie. Piccoli e grandi spostamenti, viaggi, soggiorni, per documentare missioni militari, diplomatiche, commerciali, cercare nuove fonti di ispirazione, trovare riparo in società altre o in una natura creduta più benevola. Alcuni si limitano a brevi incursioni, altri spingono la scelta fino all’estremo, in fuga da una civiltà soffocante, fino a recidere il rapporto con la terra d’origine, e si “insabbiano” nei nuovi luoghi di elezione. Levano «l’ancora verso un’esotica natura!», per dirla con Mallarmé, per conoscere nuovi mondi, trovare un tempo sospeso, una luce abbagliante. Il campione del mito dell’Altrove è naturalmente Gauguin, approdato agli antipodi per sviluppare la propria ricerca espressiva e diventare il “pittore dei tropici” e lì infine rimasto, immerso senza più riemergere in quel paradiso-sogno-trappola dei Mari del Sud. Come lo stesso Van Gogh in Provenza, un altrove più vicino, il suo Sud, rispetto all’Olanda natia ...



I sapori di Pepe Carvalho
Barcellona, Spagna

Il locale è pieno, difficile trovare posto, anche a pranzo. Tre sale, con una dozzina di tavoli ciascuna, piatti fumanti, camerieri che sfrecciano. Spiacenti, sempre meglio prenotare. La sera il tavolo è proprio sotto un ritratto con dedica di Manuel Vázquez Montalbán, Manolo per tutti: “A Casa Leopoldo, ristorante mitico della mia infanzia. Il mito corrisponde alla realtà e le conferisce inoltre fascinazione letteraria”. Per lui, la vera rivoluzione avvenuta nella Spagna postfranchista era il recupero della memoria del palato, i ristoranti e i ristoratori facevano parte del paesaggio, dell’immaginario. “Se un viaggiatore non vuole allontanarsi troppo dal cuore mitico di Barcellona, il Barrio Chino, può andare a mangiare a Casa Leopoldo. Non è cambiata rispetto alla trasformazione del Barrio. Casa Leopoldo è stata una leggenda persino all’interno del quartiere dove abbiamo sempre saputo che era un ristorante che ci rappresentava, una delle patrie del nostro meticciato”. A volte uno scrittore crea un suo doppio che gli sopravvive. Montalbán è scomparso da quasi cinque anni, portato via prematuramente da un infarto all’aeroporto di Bangkok, di ritorno dall’Australia. Ma Pepe Carvalho, il detective-gourmet da lui creato, più vecchio, acciaccato e disincantato di sempre, insegue ancora le sue inchieste (a marzo sono uscite in Italia le sue ultime “Storie di politica sospetta”), nelle Barcellone (“Barcellona non è Barcellona, ma Barcelonas, tante Barcellone”) sfondo delle sue avventure. Casa Leopoldo era uno dei luoghi eletti di Pepe-Manolo ...

 


La terra di Gengis Khan
Mongolia

Gengis Khan, stavolta, è stato battuto. Da Salomon Sorowitsch, falsario e bohemien ebreo, prigioniero in un campo di concentramento nazista, protagonista del film Il falsario, del regista austriaco Stefan Ruzowitzky, che nella notte degli Oscar si è aggiudicato la statuetta per il miglior film straniero. La vita e la leggenda del signore della guerra che "conquistò il mondo senza scendere mai da cavallo" sono al centro di Mongol, nomination per il premio, del regista russo Sergei Bodrov (già Oscar per Il prigioniero del Caucaso), ad aprile sugli schermi italiani: le gesta pubbliche e il lato privato di Temujin, diventato poi Gengis Khan, il capo militare e l’uomo innamorato, ombre e luci di chi diede vita al più vasto impero mai esistito. In Mongolia l’orgoglio nazionale gonfierà ancor più il petto. Considerato fino a pochi anni fa un simbolo di feudalesimo, Gengis Khan è oggi riconosciuto come il padre fondatore della patria, il perno dell’identità a lungo repressa da zaristi o cinesi, l’icona venerata. Le sue sembianze sono riprodotte su francobolli, bottiglie di vodka, banconote. Per il Washington Post è l’“uomo del millennio”; secondo una ricerca resa nota dall’American Journal of Human Genetics circa 17 milioni di persone nel mondo discendono direttamente da lui …





I tesori di Noto

Sicilia, Italia

1960, esterno giorno, un forestiero si aggira per le strade dell’antica città barocca. È Gabriele Ferzetti, Sandro, protagonista de L’Avventura di Michelangelo Antonioni. Davanti al sagrato di una chiesa chiede del museo. Un museo e per quali turisti? Gli fanno capire che da queste parti i turisti non sono graditi. Da allora le cose sono molto cambiate. La consapevolezza del patrimonio è aumentata, le pensioncine sono sparse dappertutto, i turisti arrivano a frotte, i restauri avanzano. Il museo non c’è, ma Noto, il suo cuore barocco, il giardino di pietra – secondo la felice definizione di Cesare Brandi – è davvero un museo in sé. Il restauro della Cattedrale, riaperta lo scorso giugno dopo il crollo del 1996, pur con le inevitabili polemiche su tecniche e materiali, è stato un successo. Oggi appare tutta linda, forse troppo, alcuni lavori continuano ma il più è fatto. Almeno dall’esterno, il giardino - chiese, monasteri, palazzi, scalinate, capitelli, fregi, in perenne work in progress - è rimesso a nuovo, in giro si vedono meno impalcature e cantieri aperti ...

 

 



Nella terra del Gattopardo
Sicilia, Italia

Il traffico scorre veloce e disordinato nella strada sotto, fra i palazzi e il mare. L’addetto alla chiusura delle cancellate delle Mura delle Cattive urla che è tardi. Il piccolo gruppo chiede ancora un minuto: la guida legge il passo finale del capitolo della morte del Principe, consumatasi proprio lì, dentro una delle stanze dell’ex Albergo Trinacria che affacciano sulla terrazza ottocentesca che sovrasta le antiche mura cittadine. «Il fragore del mare si placò del tutto». Così - nel romanzo, nel luglio 1883 - esce di scena il Principe di Salina, il Gattopardo. Il custode brontola, l’incantesimo svanisce, la compagnia di appassionati si disperde rapida. Quest’anno, il 23 luglio, una passeggiata speciale ha commemorato il 50° anniversario della morte del principe-scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore di un unico romanzo, Il Gattopardo, pubblicato postumo, dopo alcuni rifiuti, nel 1958. Benedetto poi da un successo immediato e duraturo: Premio Strega nel 1959, fonte di ispirazione nel 1963 del film di Luchino Visconti, con Burt Lancaster-Salina, Alain Delon-Tancredi e Claudia Cardinale-Angelica. Film culto (Palma d’oro a Cannes), narrazione popolare e caso letterario, Il Gattopardo continua a essere l’opera italiana più tradotta del Novecento ...

 



Le isole segrete
Faroer, Danimarca

Remote, anche se relativamente vicine: piccole terre nel cuore del Nord Atlantico, al centro del triangolo Islanda-Norvegia-Scozia, ai bordi settentrionali dell’Europa che conta. Sconosciute, perché isolate, senza grandi risorse, ai margini della storia: raggiunte da eremiti irlandesi, popolate da vichinghi e poi spartite tra Norvegia e Danimarca. Selvagge, aspre, magnifiche: montagne di basalto che risalgono ripide dal fondo marino ed emergono quasi verticali sull’acqua. Isole verdi e scure, battute dal vento e dal mare, in una delle aree più tempestose dell’Atlantico, all’incrocio tra le acque calde della Corrente del Golfo e quelle fredde dell’Oceano Artico. Di una bellezza austera, spoglia di alberi, fatta di un manto di erba brillante che contrasta con la roccia nera delle montagne che precipitano per centinaia di metri nel blu dell’oceano; di villaggi di case in legno dai tetti a volte ancora ricoperti da zolle d’erba, adagiati lungo le sponde di baie e fiordi; di vallate profonde e scogliere a picco; di pascoli e brughiere nella nebbia; di spazi aperti, qualità della luce, purezza dell’aria. Le Far Oer - 18 isole con pochi abitanti (48 mila, dispersi su un territorio di poco inferiore alla superficie del comune di Roma), tante pecore (87 mila), un’infinità di uccelli marini (3 milioni e mezzo) - sono un segreto nascosto, dalla storia e dalla geografia, e ben conservato. Perché gli effetti della modernità non sembrano aver mutato lo spirito del luogo, la natura continua a dominare, il paesaggio è sostanzialmente intatto ...

 

 

Passaggio lungo i fiordi
Hurtigruten, Norvegia

Per i norvegesi è, da più di un secolo, la «strada statale numero 1». Non si snoda su terra, ma in mare; attraverso stretti, canali, fiordi, tra labirinti di isole e scogli, montagne a picco sull’oceano, lingue di ghiacciai. Una via d’acqua di 1250 miglia marine, tortuosa come la costa lungo la quale scorre in compagnia della calda Corrente del Golfo che mantiene i porti liberi dai ghiacci. È l’Hurtigruten, il servizio regolare di battelli postali che unisce il sud all’estremo nord della Norvegia. Un postale d’altri tempi, che ogni giorno dell’anno, d’inverno come d’estate, viaggia giorno e notte toccando villaggi e città, scaricando merci e imbarcando passeggeri. Una flotta di 11 navi adatte alla navigazione in mare aperto come in fondali bassi e a passaggi molto stretti, ciascuna delle quali porta a termine l’andata e ritorno in 11 giorni, assicurando che ogni giorno, dallo stesso porto, passi un postale: da Bergen, il centro principale della regione dei fiordi nel sud del paese, oltre il Circolo Polare Artico, fino a Capo Nord e a Kirkenes, alla frontiera con la Russia, e poi ritorno. All’epoca, fine Ottocento, fu una rivoluzione. Navigare lungo la costa era estremamente arduo per il buio, il vento, le correnti. Occorrevano tre settimane d’estate e cinque mesi d’inverno per spedire una lettera da Trondheim a Hammerfest. Nel luglio 1893, con un piroscafo carico di merci e posta, il capitano Richard With collegò le due città in tre giorni, inaugurando l’Hurtigruten (letteralmente, la “rotta veloce”) …

 

 

Il mio nome è Istanbul
Istanbul,Turchia

Una città è un organismo vivente; nelle mani di uno scrittore può diventare un personaggio, tessuto poetico. Accade con Istanbul grazie a Orhan Pamuk, Premio Nobel per la letteratura 2006. Palcoscenico di molte sue opere e nucleo, in particolare, di quella più recente: “Istanbul”, per l’appunto. Libro di memorie, ricostruzione storica, doppio ritratto: della città complessa, erede della gloria di Bisanzio e Costantinopoli, allegoria di ogni esotismo, oggi policentrica megalopoli da 20 milioni di abitanti; e dello stesso scrittore che, salvo per qualche soggiorno di studio, vi è sempre vissuto. Racconto di un luogo e di sé, autobiografia “geografica” che affonda le radici negli anni ’50, nell’infanzia e adolescenza del figlio di una famiglia benestante dell’elegante quartiere di Nisantasi (dove, accanto alla moschea di Tesvikyie, c’è ancora Palazzo Pamuk). La sua è un’Istanbul lontana dalla cartolina, dalla proiezione degli stranieri nutrita dalle incisioni e dai dipinti del passato. È una città percorsa da un sentimento di tristezza-malinconia nato dal senso di fallimento ereditato dal declino dell’impero ottomano, dalla decadenza della metropoli modernizzatasi caoticamente, che non vieta, però, di contemplarla e amarne le atmosfere. «Amo la città perché è un luogo complesso», scrive Pamuk, all’incrocio di continenti (l’Europa della sponda ovest, l’Asia di quella est), migrazioni, sistemi di valori ...

 





Sui passi di Cézanne
Provenza, Francia

Un giorno Picasso annunciò al suo mercante di aver "appena comprato la Sainte-Victoire di Cézanne". "Quale dipinto?", chiese il mercante. "Ma l'originale", rispose Picasso. Aveva in effetti acquistato il castello seicentesco di Vauvenargues, dove visse a lungo e all'ombra delle cui torri ancora riposa, ai piedi della montagna Sainte-Victoire, vicino Aix-en-Provence, ritratta decine di volte da colui che riteneva il suo "unico maestro", il "padre di tutti noi". Non era il solo a pensarla così. Per il suo voler andare oltre l'impressione (la sensazione soggettiva cara agli impressionisti), "solidificarla", vedere il mondo "obiettivamente", come un oggetto, scomporre e ricomporre gli elementi formali per cercare di penetrare l'essenza delle cose e renderla grazie al colore, Paul Cézanne è da molti considerato l'iniziatore della modernità in pittura. Un "primitivo di un'arte nuova", come si autodefiniva. Un visionario in anticipo sul suo tempo, dalla cui ricerca, a un passo dalla dissoluzione delle forme, derivarono le avanguardie del cubismo e dell'astrattismo. Quest'anno, centenario della scomparsa, in Francia è l'"anno di Cézanne". Il centro delle celebrazioni è Aix-en-Provence, dove è nato e vissuto, che ricorda il suo "figlio più illustre", snobbato in vita, con un programma affollato di eventi ...

 





A sud di ogni sud
Sicilia, Italia
Per Gesualdo Bufalino il sud-est della Sicilia era "un'isola in un'isola": la Sicilia greca sviluppatasi nel cuore del Mediterraneo attorno allo scoglio di Ortigia, i successivi incroci e arrivi (romani, goti, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini, spagnoli, borboni), teatri nella roccia, architetture barocche, giardini di limoni e dune modellate dal vento. Una terra gloriosa e ai margini: la massima densità al mondo di siti protetti dall'Unesco, il limite geografico della punta d'Italia affacciata sull'Africa, con abitanti consapevoli dell'illustre passato ma vogliosi di presente, come australiani o neozelandesi afflitti dalla sindrome del down-under, "laggiù", "sotto", lontano dal centro che decide, dall'economia che pulsa, dalle cose che accadono. A giudizio di Cicerone, che la visitò nel primo secolo a.C., Siracusa era la più bella città del mondo. A lungo, prima della conquista romana che ne interruppe lo sviluppo (212 a.C.), fu un centro egemone nell'universo greco-occidentale, la principale rivale di Atene, importante quanto Roma nel Mediterraneo. Il luogo-simbolo è Ortigia, l'isola dove i greci provenienti da Corinto fondarono nel VIII secolo a.C. la nuova colonia. Isola-fortezza, oggi collegata con due ponti alla terraferma, preservatasi dall'espansione dell'edilizia caotica e anonima della città moderna. Isola viva, rinata da qualche decennio, grazie a leggi che hanno incoraggiato gli interventi di restauro, dopo anni di degrado generalizzato e sostanziale abbandono. Isola-labirinto, intrico di piazze, strade, vicoli, quartieri un tempo greci, ebrei, arabi. Isola-museo: testimonianze di tremila anni di successive civiltà concentrate in neanche un chilometro quadrato di superficie, un formidabile viaggio nel tempo tra templi, fortificazioni, chiese, palazzi con mascheroni e balconate in ferro battuto (nel barocco dominante nella ricostruzione di Ortigia dopo il terremoto del 1693), alla scoperta degli incastri, delle sovrapposizioni, delle convivenze ...








Approdo al futuro
Shanghai, Cina

Poco prima del tramonto, uno dei passatempi preferiti degli abitanti di Shanghai è la passeggiata sul lungofiume del Bund. Ma se, un tempo, gli sguardi si rivolgevano soprattutto verso la teoria di palazzi del primo Novecento, già sedi di banche, compagnie di navigazione e consolati all'epoca della Shanghai coloniale (quando la città era divisa in varie concessioni sotto la giurisdizione delle potenze occidentali), oggi lo sguardo corre verso la sponda opposta, allo skyline disegnato dalla selva di grattacieli ultramoderni di Pudong. Solo quindici anni fa, Pudong non c'era. Nel 1990 l'area agricola e paludosa a est del fiume Huangpu viene designata Zona Economica Speciale. Arrivano gli investimenti, scatta la corsa. In pochi anni, sul modello delle metropoli occidentali più avanzate, si sviluppa un quartiere direzionale e degli affari che è l'esempio più vistoso della crescita tumultuosa di Shanghai, locomotiva economica e cuore di quella particolare alchimia di comunismo e capitalismo che è la Cina contemporanea. È lì l'anima nuova di Shanghai, tra le sue autostrade sopraelevate illuminate da luci fosforescenti, il cemento e il cristallo dei suoi grattacieli di oltre 400 metri, come la Jinmao Tower o l'Oriental Pearl Tower dalle cui terrazze panoramiche si gode di una vista inevitabilmente sensazionale della megalopoli di 20 milioni di abitanti. Ma è l'intero paesaggio urbano a mutare di continuo. Il ritmo delle nuove costruzioni è vertiginoso, come se bisognasse recuperare il tempo perduto dei quarant'anni di austero maoismo. Si calcola che negli ultimi dieci anni a Shanghai siano stati costruiti più grattacieli che in tutti gli Stati Uniti
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Sun City & Cape Town
Sudafrica
Dalla fine degli anni '70, in una regione remota del nord-ovest del Sudafrica, c'è una cittadella speciale. La chiamano la Las Vegas africana, perché allo stesso modo della consorella americana è nata come luogo dedicato al gioco d'azzardo, in mezzo al nulla (là il deserto del Nevada, qui l'enorme cratere di un vulcano spento) dal sogno di un visionario. Las Vegas entrò nella sua storia moderna nel 1946, quando il gangster Benjamin "Bugsy" Siegel costruì il leggendario Hotel Flamingo. Nel Sudafrica dell'apartheid, il miliardario afrikaner Sol Kerzner, magnate glamour alla Donald Trump, edificò nel 1979 a due ore di strada da Johannesburg un complesso di hotel di lusso e sale da gioco battezzandolo epicamente Sun City. Erano da poco nati quattro homeland, pseudo entità statali che il regime segregazionista pretendeva autosufficienti ma in cui in realtà confinava la popolazione di colore, e l'autonomia legislativa di uno di questi - il Bophuthatswa - permise a Kerzner di creare nel bush la prima e sola gambling area dell'epoca, la città dei divertimenti dei bianchi dalla quale gli altri erano esclusi ...





L'anima nomade di un cavaliere
Parigi, Francia + Tibet
Ha inventato qualcosa che non esisteva, una forma originale e unica di spettacolo: danza, musiche del mondo, arte equestre, body-performance, meditazione, silenzi, gioco. Un linguaggio alla frontiera di molte arti, fatto di prodezze tecniche e ricerca estetica. Con il cavallo - suo fratello, suo doppio, suo specchio - al centro della scena. E il mondo sullo sfondo. Clèment Marty, alias Bartabas ("pellegrino e gitano, scudiero, sciamano, capo di un circo, di una truppa", come è stato definito in una biografia-romanzo a lui dedicata in Francia) ama gli orizzonti lontani, attraversare territori ai margini delle culture dominanti, arricchirsi nel confronto con codici espressivi diversi e raccontare infine storie, frutto di mille incroci e rituali, con la sua compagnia, il Théatre Equestre Zingaro, una carovana multietnica (costituita oggi da una ventina di artisti e 30 cavalli) da lui fondata nel 1984. Il suo è una specie di racconto di viaggio ininterrotto, al ritmo di una nuova creazione ogni tre anni ...






Il viaggio di Marco Polo 2
Iran

In Iran Marco Polo è un modo di dire. In farsi, la lingua locale, marcopolò, tutto attaccato con accento sulla vocale finale, indica ancora oggi qualcuno che viaggia molto, forse anche troppo, e che dunque è ora che torni a casa. Nei suoi viaggi per e dalla Cina, l'antica Persia fu il paese dove il mercante veneziano soggiornò più a lungo, transitandovi due volte: tra il 1272 e il 1273, all'inizio del suo viaggio in compagnia del padre Niccolò e dello zio Matteo; e sulla strada del ritorno verso Venezia, tra il 1293 e il 1294, dopo diciassette anni di soggiorno alla corte di Kublai Khan e due anni di viaggio via mare per condurre la principessa Kokacin al suo promesso sposo in Persia. La Via della seta passava da qui. La rete di piste carovaniere - che metteva in comunicazione Mediterraneo e Oriente - tagliava il territorio persiano longitudinalmente, toccando Ecbatana (l'attuale Hamadan) e Mashad, prima di inoltrarsi in Afghanistan; con una variante, per chi giungeva dal mare, che da Hormuz, nel Golfo Persico, risaliva l'altopiano centrale iranico fino a Tabriz, alle soglie della Turchia. Sette secoli dopo i paesaggi non sembrano cambiati. Ripercorrendo la strada che attraversa l'altopiano, non è difficile immaginare la carovana dei Polo avanzare lungo le pianure che si estendono tra i fasci di rilievi paralleli dei monti Zagros ...






I viaggi di Alessandro Magno

Europa e Asia

Anticamente, non si viaggiava per diletto. Il turismo è un'invenzione relativamente recente, (il Grand Tour si afferma nel '700, Thomas Cook apre la sua prima agenzia di viaggi nel 1841). Prima, tranne rare eccezioni, ci si spostava per dovere, commercio, fede, qualche genere di missione da compiere: mercanti, pellegrini, uomini d'armi, re erano i viaggiatori dell'antichità. Alessandro fu uno di loro, uno dei più grandi: sovrano spietato e visionario, condottiero geniale, globalizzatore ante-litteram, edificatore di un impero tanto vasto quanto effimero, esteso dalla Grecia all'Egitto e all'India, fino ai limiti del mondo allora conosciuto, all'orizzonte favoleggiato "dove il grande fiume Oceano circonda tutta la Terra". I suoi dodici anni di ininterrotta campagna militare dalla natia Macedonia alla Valle dell'Indo, oltre che un processo espansionistico senza precedenti, furono anche un'impresa conoscitiva di mondi di cui si sapeva poco, un grande viaggio esplorativo. A distanza di 23 secoli, quale memoria del suo passaggio è possibile ritrovare nei luoghi toccati da Alessandro lungo il cammino?Della dinastia di cui fece parte il giovane re vi sono tracce apprezzabili nell'odierna Macedonia greca ...





L'atollo di Marlon

Tetiaroa, Polinesia francese

La leggenda vuole che, prima dell'arrivo degli Europei, Tetiaroa - piccolo atollo a 30 miglia da Tahiti, residenza estiva degli ari'i (grandi capi) tahitiani - fosse il luogo dove veniva nascosto e custodito il tesoro della famiglia reale. Ora Tetiaroa starebbe per accogliere, secondo il tam-tam levatosi da Hollywood, le ceneri di Marlon Brando, morto un mese fa a Los Angeles, sparse - secondo le sue ultime volontà - dalle mani dell'amico Jack Nicholson. Dell'atollo Brando si era innamorato cinquant'anni fa, all'epoca delle riprese de Gli ammutinati del Bounty, e lo aveva acquistato (anzi ottenuto in concessione per 99 anni) per 110 mila dollari (ora ne varrebbe 200 milioni) dagli eredi del Dr. Johnston Walter Williams, l'unico dentista di Tahiti dell'epoca a cui l'isola era stata regalata nel 1904 dalla regina Pomaré IV. Così, al mito (Tahiti) si aggiungerebbe altro mito (Brando). Facendo di Tetiaroa un altro luogo di pellegrinaggio contemporaneo. Una volta in Polinesia, ci si metterà "sulle tracce di" Brando, come già accade con Gauguin e Brel tra Tahiti e le Marchesi. Un pellegrinaggio tropical-divistico, con adeguati elementi di romanzo popolare, amore e dolore all'ombra dei cocotier ...






In cargo alle Marchesi
Polinesia Francese
"Va alle Marchesi?", chiede il funzionario dalla camicia a fiori del porto di Papeete. "Là è selvaggio!" proclama, timbrando il biglietto per l'Aranui. "Le Marchesi! Che esotiche fantasie non evoca già il loro solo nome!" - scriveva Melville, a metà '800, nel suo Taipi - "Urì nude, banchetti di cannibali, boschi di palme, scogliere coralline, guerrieri tatuati, e templi di bambù, e valli solatie fitte di alberi del pane, piroghe istoriate che si cullano sullo scintillio delle acque blu, e foreste vergini custodite da idoli spaventosi e, figurarsi, riti pagani, sacrifici di vittime umane!". Inquietanti, selvagge. Un americano di un secolo e mezzo fa e un tahitiano di oggi sulla stessa lunghezza d'onda. Forza del mito o realtà? Convergenza in ogni caso virtuosa per il viaggiatore curioso delle diversità, in rotta verso l'arcipelago più remoto della Polinesia francese. Sull'Aranui, il cargo misto merci-passeggeri che collega Tahiti e le Marchesi quindici volte l'anno. Il mezzo migliore, per chi ha tempo, per scoprire Fenua Enata (la "terra degli uomini", come i suoi abitanti originari chiamavano quelle isole). Perché in sedici giorni di "crociera-avventura" tocca villaggi e vallate delle sei isole abitate dell'arcipelago, permettendo un approccio ravvicinato alla natura potente del luogo e un contatto genuino con i suoi abitanti. Perché l'Aranui porta turisti, che durante gli scali fanno escursioni accompagnate (in lancia e jeep, a cavallo e a piedi) a templi, cascate, villaggi, baie e, sulla nave, assistono a conferenze e proiezioni. E trasporta merci. Al punto che i ritmi di vita dei 9 mila abitanti delle isole sono scanditi dai suoi arrivi e partenze ...

 


Sulle tracce del Perugino
Umbria, Italia

Divin pittore è un'etichetta impegnativa da portare. Giovanni Santi, padre di Raffaello, la spese - nel poema scritto nel 1485 in onore di Federico da Montefeltro - per due allievi della bottega di Andrea del Verrocchio a Firenze, "due giovin par d'etade e par d'amori, / Leonardo da Vinci e l'Perusino, / Pier della Pieve, che son divin pictori". Leonardo, grazie al genio multiforme impossibile da imprigionare in qualunque formula, se ne affrancò presto. A Pietro Vannucci, detto il Perugino, restò attaccata, perché - semplicemente - gli si confaceva. Non certo per il temperamento sanguigno e molto attento alla prosaicità di contratti e pagamenti. Ma poiché la sua arte, luminosa e classica, soave e sentimentale, incontrava e sollecitava il gusto del tempo e della committenza: il papato, le corporazioni religiose, le corti, i signori. Basta sfogliare il catalogo delle iperboli che alcuni contemporanei usarono nei suoi confronti: per un paio di decenni, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, il Perugino fu giudicato colui che più "d'ogni altro vinse in pictura", "maestro singolare et maxime in muro", "il meglio mastro d'Italia". La sua pittura, racconta il Vasari, "tanto piacque al suo tempo che vennero molti di Francia, di Spagna, d'Alemagna e d'altre province per impararla". Il suo stile figurativo si impose a tal punto da diventare un canone da riprodurre, l'editoriale peruginesca nella definizione di Roberto Longhi. Poi, sotto la pressione delle novità e rotture introdotte da Leonardo, Michelangelo e dallo stesso Raffaello, giovanissimo allievo del Perugino, venne la stagione del progressivo accantonamento, gli ultimi anni di relativo grigiore, la morte quasi nell'oblio ...

 

Un secolo di immagini
Il mondo
di National Geographic
Un mito si costruisce per narrazioni. Attraverso la tradizione orale e la scrittura, fin dall'antichità. E grazie alle immagini, con la nascita relativamente recente di fotografia, cinema, televisione. Il National Geographic ha costruito il suo attraverso una qualità fotografica fuori dall'ordinario. Figlia, fin dagli inizi (1895), della volontà di raccontare il mondo in tutti i suoi aspetti (natura, modi di vita), attraverso lo sconfinato potere descrittivo ed evocativo dell'immagine fissa. Geografia, perciò, come conoscenza spettacolare del mondo. La bellezza del pianeta portata a casa della gente. Da fotografi che partono per incarichi di mesi e mesi e ritornano con una media di 20-30.000 fotografie tra cui scegliere le 30 che di norma costituiscono il reportage finale. Un marchio di qualità assoluta, budget impensabili per altre riviste concorrenti, un mercato vastissimo che sostiene di rimando gli sforzi per produrre le più straordinarie immagini mai realizzate sul campo, con passione, dedizione, capacità di mettersi in relazione con i soggetti ...

 

Tra le onde dell'arcipelago
Micronesia

"Uno degli angoli più incontaminati del pianeta", recita la pubblicità di una locale agenzia turistica. Un paradosso, se si pensa che queste isole sono state teatro di alcune delle battaglie più sanguinose della seconda guerra mondiale. Ma vero. Perché, da allora, le ferite della natura sono guarite. E perché la posizione geograficamente eccentrica delle isole, distanti da tutto, da flussi smodati di turismo di massa come da penetrazioni commerciali martellanti, ha permesso il mantenimento di costumi tradizionali in misura sorprendente rispetto ad altre realtà del Pacifico. Gli Stati federali della Micronesia sono solo una parte di quel mondo più ampio conosciuto col nome di Micronesia, una delle tre grandi famiglie di raggruppamenti etno-culturali (le altre sono la Melanesia, le "isole nere", e la Polinesia, le "molte isole") in cui si articola il Pacifico, oltre duemila "piccole isole" di origine vulcanica e corallina sparse tra Tropico del Cancro ed Equatore di cui fanno anche parte stati come Guam, Palau, Marshall ...

 

Il richiamo del Sud
I
luoghi di Van Gogh 2, Francia
Dopo anni di ricerca, Vincent ha finalmente scelto. La pittura è la sua vita. Trascorre cinque anni a studiare, disegnare e dipingere, tra L'Aia, la regione settentrionale della Drente e il villaggio di Nuenen dove abitano i genitori. Ma l'Olanda natale non gli basta. Cerca ancora il suo stile, i suoi colori. Irrequieto, si sposta ancora. Prima - per pochi mesi - ad Anversa, dove inizia a sperimentare un cromatismo più vivace e si interessa al barocco di Rubens e alle forme ornamentali delle incisioni giapponesi. Poi a Parigi, capitale dell'arte moderna in piena fioritura impressionista, dove giunge - a 33 anni - nel marzo del 1886, ospite del fratello Theo, mercante d'arte presso la filiale parigina della casa d'asta Goupil. Grazie a Theo che lo introduce nell'ambiente, Vincent entra in relazione diretta con il mondo degli impressionisti. Conosce Pissarro, Signac, Toulouse-Lautrec, Gauguin, Bernard. Scopre un uso diverso del colore, fa esperimenti cromatici, rende i toni più chiari e intensi. Dipinge diverse nature morte con fiori, autoritratti, vedute della città, viste sui tetti e i dintorni di Montmartre, all'epoca un sobborgo immerso nella campagna ai margini della metropoli, dove si stabilisce assieme al fratello (al numero 54 di Rue Lepic, ricorda una targa sulla facciata). Oggi Montmartre è uno dei quartieri dell'immensa città, approdo costante di masse di turisti soprattutto attorno a Place du Tertre e alla chiesa del Sacro Cuore; ma ha ancora qualche angolo che rimanda a quel tempo, come quello appartato che porta al mulino di La Galette, spesso dipinto da Van Gogh, al centro di un complesso di esclusivi appartamenti privati sul cui citofono invece dei nomi degli inquilini campeggiano quelli di pittori che vissero a Parigi, da Picasso fino a Modigliani ...

 

Istanbul Café
Turchia

L'abitudine al caffè era giunta a tal punto a Costantinopoli, che gli imam si lamentavano che le moschee restavano deserte, mentre erano sempre piene le sale dei caffè", scriveva Alexandre Dumas padre nel suo Grand dictionnaire de cuisine. Erano passati tre secoli da quando, nel 1555, due siriani avevano aperto con successo la prima bottega del caffè, bevanda rarissima e costosa, fino allora servita solo alla corte di sultani e pascià. Locali simili - dove fermarsi anche a chiacchierare, fumare, riposare - si moltiplicarono rapidamente a Istanbul. Ieri come oggi luoghi di incontro, conversazione e ozio, i caffè sono uno dei modi in cui si esprime l'arte di vivere degli istanbullar: il keyif - concedersi tempo - sorseggiando kahve, (caffè turco, chiamato anche il "latte dei giocatori di scacchi e dei pensatori") o cay (tè servito bollente in bicchierini a forma di tulipano), giocando a carte, fumando il narghilé. Un tempo riservati agli uomini, oggi i caffè sono frequentati da un pubblico misto, ancora in prevalenza maschile, con gruppi di giovani donne vestite tradizionalmente o più spesso all'occidentale. Anche la tv si è fatta spazio e a volte le sale interne hanno schermi per seguire partite di calcio o basket, competizioni di lotta o corse di cavalli. Alcuni hanno sposato lo stile di locali alla moda delle metropoli d'Occidente e sono diventati pub o american bar. Altri hanno conservato uno spirito più aderente al luogo, sono immersi in giardini, ricavati da angoli di antiche scuole coraniche o bazar, hanno tappeti e kilim sparsi su sedie e pareti. Spesso sono con vista su edifici storici e moschee, sul mare del Corno d'Oro o del Bosforo attorno a cui la città - l'unica al mondo situata a cavallo di due continenti - si è dilatata. Un giro dei gazino (caffè con giardino) come usano fare i suoi abitanti, con sosta in un nargileci (caffè dove si fuma il narghilé), può essere un modo per attraversare una città-museo come Istanbul-Costantinopoli-Bisanzio ...

 

Lungo le coste di Ulisse
I luoghi dell'Odissea 1, Mediterraneo

Il viaggio di Ulisse inizia quando la guerra di Troia ha fine. Dopo dieci anni di assedio gli achei riescono a sconfiggere la resistenza dei troiani, grazie allo stratagemma del cavallo di legno ordito dall'astuto Ulisse, signore di Itaca, uno dei re che ha preso parte alla spedizione punitiva. Le loro armate vittoriose lasciano finalmente le coste dell'Asia minore dirette in patria. Ma il nostos, il viaggio di ritorno di Ulisse - tema centrale di tutta l'Odissea (narrato, in flashback, tra il quinto e il dodicesimo canto) - è destinato a durare ancora a lungo: altri dieci anni, attraverso terre remote e sconosciute e un mare spesso nemico. Ricostruire l'itinerario dell'Odissea, andando alla ricerca della realtà topografica del testo epico, è un esercizio complesso. Fin dall'antichità, le teorie sui luoghi descritti da Omero (o, se si preferisce, dal poeta dell'Odissea) sono innumerevoli. In un variegato arco di gradazioni, si va da chi ritiene che il poeta contaminò elementi reali e fantastici secondo le necessità del proprio racconto, a chi pensa che i luoghi trovino sostanziali conferme in testi storici ed evidenze archeologiche, a chi invece assicura che siano in gran parte immaginari. In ogni ricostruzione il punto di partenza è Troia, la "sacra città di Ilio". Ieri, ricco emporio dell'Asia minore, centro potentissimo di un regno che controllava le vie commerciali tra Egeo e Mar Nero grazie alla posizione chiave sullo stretto dei Dardanelli lontano pochi chilometri a nord-ovest. Oggi, piccolo sito archeologico senza le magnificenze, per esempio, delle non lontane Efeso o Pergamo. Eppure il luogo è emozionante ...

 

Le Colonne d'Ercole
Gibilterra (Europa) e Tangeri (Africa)

Le Colonne d'Ercole sono da sempre una frontiera. Ieri, tra il mondo conosciuto e l'ignoto, tra il Mediterraneo - "mare in mezzo alle terre" - e il grande mare Oceano. Oggi, tra Europa e Africa, tra civiltà latina e anglosassone, da una parte, e quella arabo-africana, dall'altra, tra il Nord affluente del modello occidentale e il Sud dell'islamismo e della negritudine. Pur essendo un'astrazione mitologica (Ercole le avrebbe innalzate durante le sue peregrinazioni nelle regioni d'Occidente alla ricerca dei pomi d'oro delle Esperidi, incidendovi sopra Non plus ultra per ammonire a non proseguire oltre nell'Oceano), le Colonne sono identificabili geograficamente in maniera precisa. Con la rocca di Gibilterra, la sponda settentrionale ed europea. Con Jebel Moussa, una montagna accanto all'enclave spagnola di Ceuta non lontana da Tangeri, la sponda meridionale e africana. Il lato nord delle Colonne è una bizzarra oasi di britannicità in ambiente mediterraneo. Circolazione a sinistra e pub, scritte e lingua ufficiale, orari e istituzioni sono di stampo inglese. La lingua franca parlata da tutti, il janito, è un misto di inglese e andaluso. I trentamila abitanti sono una mescolanza etnica di genovesi, portoghesi, maltesi, ebrei, spagnoli e inglesi, con l'aggiunta dei lavoratori temporanei marocchini ...

 

Il paradiso di Gauguin
I luoghi di
Gauguin, Polinesia Francese
"Parto per starmene tranquillo, libero dalla civiltà. Voglio fare dell'arte semplice, molto semplice; per questo ho bisogno di ritrovare le mie forze a contatto con la natura ancora vergine, di vedere solo selvaggi e di vivere la loro vita". È il 1891, Gauguin mette in scena un'esemplare fuga dalla civiltà. Dice addio a moglie e figli, vende alcuni quadri per finanziare il viaggio, si congeda solennemente da chi resta. Alla cena di commiato e augurio Stéphane Mallarmé - il poeta di "fuggire laggiù! fuggire!" - saluta colui che "si esilia per ritemprarsi nelle terre lontane e nelle profondità del suo io". È ormai distante dalle quiete impressioni alla Renoir o Monet. La sua ricerca lo porta altrove, anche fisicamente. Non gli basta più né l'arcaica Bretagna, dove soggiorna a lungo, né la Provenza, dove vive due mesi con Van Gogh, né Parigi. Lo muove una "tremenda voglia di ignoto". Sogna il Madagascar, di tornare alla Martinica e a Panama (suo primo soggiorno tropicale, da artista). Ma giudica quei luoghi "ancora troppo vicini al mondo civilizzato". Sceglie infine Tahiti, già allora approdo leggendario grazie ai racconti di naviganti ed esploratori, pare su suggerimento di Van Gogh che, ammaliato dalle sue tele caraibiche, vede in lui il "pittore della natura tropicale". Va via per essere più creativo e, nell'isolamento, più produttivo. "Penso che la mia arte sia solo in germe e spero laggiù di coltivarla per me stesso in uno stato primitivo e selvaggio". Cerca l'essenziale, il simbolo, non ciò che l'occhio vede ma quel che l'anima sente. Cerca il nuovo risalendo alle origini, anch'egli incantato dal mito dell'infanzia felice dell'umanità ...

 

L'Oriente di Salgari
I luoghi di Sandokan, Malaysia

Il "capitano", come amava farsi chiamare Salgari, sognava mari lontani, voleva diventare ammiraglio, ma navigò solo per tre mesi fra Venezia, la Dalmazia e Brindisi. Eppure esistono luoghi "salgariani". Ne abbiamo attraversato alcuni. Quelli che lui non ha visto mai. Ma solo immaginato, fantasticando su atlanti geografici, libri di storia, manuali di flora e fauna, riviste di viaggio e d'esplorazione. Nel territorio del suo ciclo di romanzi più famoso, teatro delle gesta di Sandokan, il suo eroe per eccellenza, l'orgoglioso e terribile pirata dallo sguardo di fiamma. In Malesia, anzi Malaysia da quando (nel 1963) alla tradizionale parte peninsulare, che si estende a sud della Thailandia, si sono aggiunti gli stati del Sabah e del Sarawak che occupano la parte settentrionale del Borneo. Antico nome, sinonimo - per diverse nostre generazioni e la pletora di ammiratori salgariani sparsi per il mondo (da Che Guevara a Sepulveda) - di sfolgorante avventura esotica, di arrembaggi epici e combattimenti mirabolanti, di giungle misteriose, di tigri, sultani e pirati. La Malaysia di oggi è ovviamente diversa da quel cliché, è un mix di nazionalismo islamico e avanguardia tecnologica, di chip e petrolio, di architetture ultramoderne (per qualche tempo le Petronas Towers di Kuala Lumpur si sono fregiate del titolo di grattacieli più alti del mondo) e sacche di vita tradizionale che resistono nella giungla più remota. Ricostruire una geografia salgariana si è rivelata impresa complessa poiché, da una parte, Salgari non ebbe mai una conoscenza dettagliata, seppur a tavolino, dei luoghi; e, dall'altra, poiché la sua vibrante fantasia ha comunque abbondantemente prevalso sulla realtà ...

 

Avanti c'è spazio
Turismo spaziale

Ha già un nome e cognome il primo turista spaziale. È Dennis Tito, sessantenne miliardario californiano figlio di immigrati italiani, ex-ingegnere della Nasa e finanziere di successo (patrimonio stimato in 250 milioni di dollari) con il pallino, da sempre, di andare un giorno nello spazio. Un sogno che riuscirà, con tutta probabilità, a soddisfare molto presto. Prima si era prenotato per raggiungere la Mir, la stazione spaziale russa in orbita attorno alla Terra da quindici anni, in cambio di 14 milioni di dollari. Ma lo smantellamento della Mir deciso dall'agenzia spaziale russa, con conseguente rientro e "affondamento controllato" nel Pacifico, lo ha bloccato. Poi, per 20 milioni di dollari, è riuscito a farsi inserire nell'equipaggio di una delle prossime missioni Soyuz; entro questa primavera (anzi ora c'è anche una data presunta del lancio, il prossimo 30 aprile) volerà con altri due astronauti alla volta della Stazione spaziale internazionale e vi trascorrerà una settimana. Sarà così il primo turista dello spazio, in timing perfetto con il leggendario 2001 ...

 

Qui comincia l'avventura
Turismo avventura

Ciò che costituisce il piacere del viaggiatore" - scriveva Théophile Gautier nel suo Viaggio in Spagna - "è l'ostacolo, la fatica, il pericolo stesso. Quale fascino può avere un viaggio dove si è sempre sicuri d'arrivare, di trovare cavalli pronti, un letto morbido, una cena eccellente e tutte le agiatezze di cui si può fruire a casa propria? Uno dei grandi guai della vita moderna è la mancanza d'imprevisti, l'assenza d'avventure". Avventura, dal latino ad ventura, le cose che verranno e quindi non si conoscono. Parola fatata, ormeggiata in noi fin dall'infanzia, dai tempi dei cavalieri erranti e delle isole del tesoro. Applicata alla categoria viaggio, profuma di esotico, smuove "idee fantastiche e girovaghe" per dirla con il Robinson di Defoe. Dischiude scenari non più metropolitani, fa immaginare foreste, intravedere profili di dune. La motivazione di chi parte è doppia: riguarda il come e il dove andare. La voglia di viaggiare in modo insolito fa il paio con il desiderio di raggiungere mete inconsuete, attraversare e superare frontiere. Per conoscere, sperimentare, andare a vedere il mondo di persona, in prima persona. Perché, a volte, accade che l'avventura (e l'esplorazione) riesca a essere sia esteriore sia interiore. Perché, a volte, come suggerisce Hermann Keyserling in Diario di viaggio di un filosofo, "la via più breve per giungere a se stessi gira intorno al mondo ...

 

Alla scoperta delle tartarughe
Mare d'inverno, Madagascar

La singolare ricchezza della sua natura ha fatto guadagnare al Madagascar una solida fama di continente in miniatura, sorta di Arca di Noé staccatasi milioni di anni fa dalla Madre Africa. Nell'Isola Rossa sembrano essersi ritirate una flora e una fauna uniche, come indicano le 30 specie di lemuri (proscimmie presenti solo qui), i 2/3 dei camaleonti del pianeta, le 700 delle 900 specie di orchidee conosciute, l'assenza totale di animali feroci. Quasi un continente, quasi Africa e quasi Asia (per l'origine di molte delle sue genti e tradizioni) e un po' Europa (per la storia coloniale e gli odierni modelli di riferimento). Dove le cose avvengono mora-mora, piano piano, e dove, nel corso di un viaggio, si ha l'impressione di visitare più paesi per il miscuglio di razze che si incrociano e la varietà degli ambienti naturali: la savana e le grandi pianure dell'ovest; gli altipiani e le risaie dell'interno; le foreste tropicali e le scogliere dell'est; le distese semidesertiche e gli alberi bassi del sud; i 5 mila chilometri di coste e l'universo di isole tropicali ...

 

Natura al sapore di cannella
Mare d'inverno, Seychelles

Mentre altre isole delle Seychelles vengono "aperte" al turismo e dotate di resort più o meno lussuosi, c'è un'isola dell'arcipelago (115 isole sparse in un'area dell'Oceano Indiano grande quanto la Francia, di cui 42 granitiche e 73 coralline) che continua a serbare una sua anima speciale, poiché alle forti suggestioni naturali - i giganteschi blocchi di granito, le spiagge raccolte, i fondali policromi, le palme da cocco spettacolari - unisce una condizione di semi-modernità. La Digue, infatti, piccola terra lunga 5 chilometri e larga 3, appartiene ancora all'epoca dei Tropici senza motore. Perché non c'è aeroporto (ci si arriva solo dal mare, in battello da Mahé o Praslin) e, soprattutto, le automobili sono da sempre al bando (ce ne sono solo 5, su una popolazione di 2 mila persone, per usi amministrativi). Il mezzo di trasporto più usato, principalmente per raggiungere i luoghi di soggiorno sulla costa, sono carri di legno trainati da buoi, un pittoresco e inevitabilmente lento servizio taxi - si va avanti a sbuffi e scossoni - che rappresenta il maggior elemento di folklore locale. A parte i carri, per coprire le distanze comunque fortunatamente limitate si va a piedi e, soprattutto, in bicicletta. Bastano poche rupie al giorno, a chi viene da fuori, per salire in bici ed esplorare l'isola lungo le piste di terra battuta che la contornano. Lo spettacolo è assicurato (per la sua bellezza scenografica sull'isola sono stati girati alcuni film e diversi spot pubblicitari) ...

 

La baia dei giochi
Sydney, Australia

Ogni anno diverse riviste statunitensi stilano la classifica delle città dove si vive meglio al mondo. Da molti anni, puntualmente, Sydney si piazza in testa o ai primissimi posti. Salutata da aggettivi mirabolanti, tra realtà e stereotipo: vibrante, ultramoderna, trendy, cosmopolita, post-etnica. In vista del prossimo gigantesco evento planetario (dal 15 settembre al 1 ottobre Sydney ospiterà la ventiseiesima edizione dei giochi olimpici moderni e dal 18 al 29 ottobre i giochi paraolimpici), la città non è cambiata molto. Non ne aveva bisogno. Era già seducente, la Frisco del Pacifico meridionale, metropoli un po' vittoriana un po' nordamericana affacciata sulla frontiera sud del mondo occidentale, in simbiosi spettacolare con la baia e il mare che la circonda. Si è solo rifatta il trucco. Ha abbellito le strade, restaurato le facciate di qualche edificio, potenziato il sistema dei trasporti per raggiungere l'Olympic Park, dove si svolgerà la gran parte delle competizioni. Il parco è stato creato lontano dal centro della città, a Homebush Bay, una quindicina di chilometri a ovest di Sydney, sulle rive del fiume Parramatta …

 

L'arcipelago di Natale
Ai confini del millennio 4, Kiribati

Era il 24 dicembre del 1777 quando l'isola apparve all'orizzonte. Un arido eden, abitato solo da tartarughe giganti che gli uomini della Discovery e della Resolution cacciarono a centinaia. Al suo terzo (e ultimo) viaggio nel Pacifico, alla ricerca dell'agognato ma inesistente continente australe, James Cook non ne ricavò un'impressione abbagliante. Anzi. "Chiunque avrà la ventura di arrivare per caso su quest'isola, o di esservi abbandonato, avrà poche possibilità di sopravvivervi", chiosò nel suo giornale di bordo, battezzandola Christmas Island, l'isola di Natale. Il nome è rimasto, sebbene rimodellato - dal modo di pronunciare dei locali e da un alfabeto di sole tredici lettere - in Kiritimati. Situata al centro dell'oceano, 190 chilometri a nord dell'equatore, a metà strada tra l'Australia e le Hawaii, Christmas Island oltre a essere l'atollo dalla più vasta superficie emersa del mondo (323 chilometri quadrati) è la più conosciuta ed estesa delle 33 isole che compongono l'arcipelago delle Kiribati: una repubblica giovane (indipendente da appena 20 anni), minuscola (817 chilometri quadrati di terre, su cui vivono 90 mila micronesiani i cui antenati giunsero nel Pacifico 3 mila anni fa dal sud-est asiatico) e immensa. Gli atolli che ne fanno parte, difatti, raggruppati in tre gruppi principali - Gilbert, Phoenix e Line - sono disseminati su un territorio vasto quanto mezza Europa, a cavallo e lungo la linea dell'Equatore, per 800 chilometri da sud a nord e per quasi 4 mila chilometri da est a ovest (Christmas, per esempio, è lontana 3 mila e 200 chilometri dalla capitale Tarawa) ...

 

L'isola fuori dal tempo
Ai confini del millennio 2, Samoa

Quando, nel 1830, il reverendo John Williams della London Missionary Society arrivò alle Samoa, gli indigeni si convertirono quasi immediatamente in massa. Il fatto è che i samoani erano già convinti di essere i discendenti diretti di Adamo ed Eva e di abitare da sempre nel Giardino dell'Eden. Solo che chiamavano tutto questo con altri nomi: Fatu ("cuore"), il primo uomo; 'Ele'Ele ("terra"), la prima donna; il "luogo dell'acqua fresca", il Paradiso Terrestre, come narra la storia della creazione da parte del supremo dio Tagaloa, straordinariamente simile alla Genesi biblica. L'arrivo di Williams era l'involontario compimento di un'antica profezia della dea della guerra, Nofanua, secondo la quale una nuova religione sarebbe giunta dal cielo a portare più forza e prosperità (la parola samoana palagi, analogamente alla tongana palani, significa appunto "quelli che rompono il cielo" e designa gli europei, i bianchi). Per gli dei della creazione queste isole erano il "centro sacro" dell'universo. E ciò è rimasto vero per i samoani di oggi. Che accettano, solo in parte, la teoria prevalente secondo la quale i primi polinesiani giunsero nel Pacifico dal sud-est asiatico. E continuano a ritenere che loro, i samoani, provengono semplicemente da qui, da Samoa. Così Hawaiki, il luogo mitico da cui partirono le migrazioni polinesiane che colonizzarono gran parte dell'oceano, altro non sarebbe che la maggiore isola dell'arcipelago samoano: la leggendaria Hawai'i per gli hawaiiani, Havaiki per i ma'ohi della Polinesia francese, Avaiki per i polinesiani delle Cook, Savai'i per i samoani. C'è una sola Samoa, culturalmente ed etnicamente, ma due entità politiche separate: lo stato indipendente di Samoa, fino a due anni fa conosciuto come Samoa occidentali, e le Samoa americane, il solo territorio statunitense situato a sud dell'equatore ...

 

Le isole dell'estremo
Nuova Zelanda

Se si guarda un mappamondo ci si accorge che c'è un Paese situato più o meno nella stessa posizione dell'Italia. Dall'altra parte del mondo, però, nell'emisfero australe, a latitudini e longitudini opposte. Come l'Italia ha montagne chiamate Alpi, un clima temperato e una forma lunga e stretta da stivale, sebbene capovolto. Ma è un'isola, anzi due, quella del Nord e quella del Sud, con paesaggi che vanno dalle foreste pluviali alle catene alpine e climi che variano dal semi-tropicale al pre-antartico. È la Nuova Zelanda, Aoteara, la "Terra dalla Lunga Nuvola Bianca" (come veniva e viene chiamata ancora in lingua maori, i suoi abitanti originari), il solo autentico Paese (gli altri sono dei "semplici" arcipelaghi) degli antipodi, anzi dei "tantipodi" come li chiamava Alice rotolando verso il suo Paese delle meraviglie. Ma un'Alice contemporanea non sbucherebbe più "tra gente che cammina a testa in giù", ma piuttosto tra gente che vive, soprattutto, open-air. Ne è una prova Auckland, per esempio, la City of Sails (la città delle vele, con il record mondiale del più alto numero di imbarcazioni per abitanti) che a partire dal 18 ottobre ospiterà le regate tra gli sfidanti dei detentori - i neozelandesi, appunto - del più vecchio trofeo sportivo esistente: la leggendaria America's Cup. L'enorme passione per la vela dei kiwi (come vengono chiamati i neozelandesi, dal nome dell'uccello che non sa volare diventato emblema del Paese) ha d'altronde radici storiche profonde: a vela arrivarono i maori circa dieci secoli fa dalla Polinesia centrale con le stelle come loro unica guida; a vela giunsero prima gli esploratori e poi i coloni dall'Europa ...

 

La notte più lunga
Capodanno 2000 nel mondo

Evento vero, forzatura mass-mediologica o semplice convenzione di calendario? Il passaggio al 2000 e l'entrata nel nuovo millennio hanno prodotto in Occidente una sindrome da once in a life, da evento che accade una-sola-volta-nella-vita, scatenando l'organizzazione di una miriade di celebrazioni e festeggiamenti in buona parte del pianeta. In effetti è abbastanza straordinario far parte di una generazione che cambia anno, secolo e millennio in un solo giorno. Ma qual è, per l'appunto, questo giorno? C'è chi ritiene che il terzo millennio cominci di fatto il primo gennaio del 2000 e chi osserva invece che avrà inizio soltanto un anno dopo, il primo gennaio del 2001. La soluzione, in realtà, è semplice: un secolo, e perciò anche un millennio, inizia dal primo giorno del suo anno 1 (non esiste un anno 0) e termina al compiersi dell'ultima notte del suo centesimo (o millesimo) anno; perciò ai festeggiamenti per l'entrata nel millennio si dovrebbe dar avvio solo la notte del 31 dicembre del 2000. Ma non sarà così, la festa è già annunciata per la fine del 1999. E si celebrerà, giustamente, in maniera speciale, visto che comunque si varca una soglia simbolo come l'anno 2000. Poi, quando tutti realizzeranno per bene che il millennio inizia effettivamente nel 2001, ci si riprogrammerà e si festeggerà ancora. Intanto si contano i giorni mancanti all'alba del 2000 e ci si organizza per celebrare per il momento il passaggio a quell'anno. In teoria solo una parte relativamente piccola del mondo dovrebbe farlo; esistono metodi molto diversi per segnare il tempo e per i calendari di culture non cristiane il 2000 non significa nulla. Ma la cultura occidentale, e i media che la diffondono, dominano; così, la festa avrà comunque una dimensione planetaria e quasi tutti, volenti e non, saremo in qualche misura coinvolti nel passaggio al 2000 ...

 

Navigando tra i monti
Norvegia

Quando, circa diecimila anni fa, i vasti ghiacciai continentali che ricoprivano gran parte del Nordeuropa cominciarono a sciogliersi, enormi masse di ghiaccio e detriti rocciosi scesero verso la costa. Lasciandosi alle spalle immensi letti ormai vuoti, che il mare subito invase, risalendoli a volte per decine, altre volte per centinaia di chilometri. Dando così vita all'universo di insenature, gole, baie e canali che risponde al nome di fiordo. I norvegesi dicono, con orgoglio, che il loro è il paese con il maggior numero di fiordi al mondo. Più di Islanda, Cile o Nuova Zelanda, pure famosi per le loro memorabili coste frastagliate. La Norvegia ha in teoria duemilaseicentocinquanta chilometri di costa, così profondamente intagliata che in pratica si decuplicano a voler contare tutte le curve e rientranze della terra nel suo secolare gioco con il mare (che, tra l'altro, ha prodotto circa cinquantamila isole di varie dimensioni). Per il forestiero il fiordo si rivela un'esperienza unica: l'acqua entra in profondità tra le montagne; le coste corrono parallele come rive di lago o di fiume e poi si aprono, si allontanano, per tornare ancora ad avvicinarsi, a guardarsi; un paesaggio che a uno sguardo non avvertito risulta montano ed è invece marino, perché quello è mare, mare che arriva fino alla montagna, devi pensarci per fartelo tornare alla mente, per ricordarti che è acqua salata ...

 

Il paese delle fiabe
I luoghi di Andersen, Danimarca

Esiste un paese delle meraviglie, un luogo delle favole? Un paese da visitare con occhi e gambe da bambini, magari insieme ai propri figli? Sulle tracce delle favole che hanno riempito la nostra infanzia e ora accompagnano la loro? Eravamo partiti da queste domande per decidere la nostra vacanza. Avevamo sfogliato atlanti e guide; e poi vecchi e nuovi libri di fiabe; e infine consultato il piccolo archivio di videocassette di nostra figlia Alice, quattro anni e mezzo, mille riccioli, un'energia traboccante. Scartati i troppo visti Topolino e Paperino - e quindi le roboanti Eurodisney, Disneyland e Disneyworld - ci eravamo ritrovati nella più discreta Nordeuropa, in compagnia di gatti con gli stivali, soldatini di piombo e fate smemorine. Ci eravamo inoltrati, dapprima, sulle tracce dei fratelli Grimm, in Germania; poi di Perrault, in Francia. Ma alla fine avevamo scelto Andersen, l'autore di "La sirenetta" e "Il brutto anatroccolo", lo scrittore di favole che forse più di altri ha legato il proprio nome alla terra d'origine (si racconta che un giorno il poeta indiano Tagore, in visita ad alcune scuole danesi, suggerì ai suoi interlocutori: "Perché avete tante materie? Ne basterebbe una sola: Andersen"). E così ci eravamo ritrovati in Danimarca, paese di pianure e colline lievi, di cittadine moderne e razionali e paesini quieti circondati da campi di grano con mucche e cavalli, di distese dai colori sfumati su cui svettano soltanto le pale dei mulini di un tempo e di quelli tecnologici d'oggi ...

 

Un cuore selvaggio
Northern Territory, Australia

Darwin è una città di frontiera. A qualche centinaio di miglia, sull'altra sponda del Mar di Timor, ci sono le prime isole indonesiane e, più oltre, la Papua Nuova Guinea. Ma ha poco del fascino che ti aspetti da un luogo di confine, anche se l'aria del Tropico si fa sentire e la vegetazione riempie quasi del tutto il campo visivo. Niente di polveroso o in via di costruzione, quasi nulla che rimandi ai tempi dell'insediamento e dell'espansione. Solo qualche vecchio edificio amministrativo e casetta in legno dei primi coloni. Per il resto, un centro squadrato, ordinato e vivace, con supermercati, banche e ristoranti, e una miriade di case sparse nel verde. Comprese quelle popolari degli aborigeni sedentarizzatisi. La frontiera la vedi piuttosto nel taglio degli occhi della gente, nei tanti colori di pelle e capelli, nelle stazze all'opposto di un vietnamita o di uno slavo. Le statistiche dicono che chi vive a Darwin proviene da più di quaranta paesi; chissà, forse è un primato mondiale, da miscuglio urbano più eterogeneo (di sicuro i suoi 80 mila abitanti registrano il record del maggior consumo di birra pro-capite al mondo: 230 litri l'anno). Il suo cosmopolitismo è la conferma palese di come la società australiana stia andando verso una struttura sempre più multietnica, sebbene a dominanza bianca e anglofona. Una società, molte culture: è diventato ormai uno slogan in Australia, il Paese giovane, appena un secolo, nato sulla terra più antica che esista ...

 

Stregati dagli dei
I luoghi delle feste, India

"Nove giorni di festa su sette", recita un proverbio indiano. Paradossale, ma vero. Poiché in quanto a feste, fiere e festival nessun altro Paese al mondo può avvicinarsi alla sconfinata varietà dell'India. Dalle pendici dell'Himalaya alle giungle meridionali del subcontinente, ogni stagione, ogni villaggio, ogni divinità ha il suo giorno speciale. Feste legate ai ritmi della natura: a solstizi e pleniluni, alla fine del raccolto, all'arrivo del monsone. E feste, soprattutto, in onore degli dei: occasioni per pregare, purificarsi, trascendere la routine del mondo ed entrare in contatto con la shakti, il potere divino, l'energia fondamentale dell'universo; ma anche momenti propizi per riunirsi, far baldoria, decorare le abitazioni, rinnovare i vestiti, commerciare in argento e cammelli. Puzzle di partecipazione popolare e kitsch da solennità organizzata, di turismo di massa e sublime religioso. Assistere a uno di questi eventi, mischiandosi a eccezionali movimenti di folla o contemplando composte cerimonie tribali, è un modo per accostarsi all'anima profonda dell'India e provare a cogliere qualche frammento dello spirito del luogo, sempre in bilico tra l'Oriente sfarzoso di palazzi e maharajà e l'umanità dolente degli slum di Calcutta e Bombay. Il consiglio, perciò, per chi immagina di recarsi in India, è di programmare il viaggio cercando di inserire nel percorso almeno uno di questi avvenimenti (senza scordare di controllarne le date esatte poiché, essendo basate sul calendario lunare tradizionale, cambiano di anno in anno) ...

 

L'Oceano assoluto
Polinesia Francese
Provate a immaginare l'oceano come un grande cielo. E le isole come stelle, sparse in tutta la sua vastità; gli arcipelaghi come costellazioni e galassie di un universo fatto di acqua, vulcani e coralli. Inizierete ad avere un'idea dello spazio sconfinato che ricopre un terzo della superficie del pianeta: il Pacifico, come lo battezzò per le sue acque calme Magellano reduce dalle tempeste dell'Atlantico, o Moana-Nui-o-Kiva - il "grande oceano del cielo azzurro" - come lo chiamavano i polinesiani. Il mito abita qui, più o meno al suo centro, fra il Tropico del Capricorno e l'Equatore. Sotto le palme fruscianti al soffio degli alisei, all'ombra dei vulcani torreggianti sulle lagune, nei sorrisi delle vahiné. Ancora oggi. Nonostante modernizzazioni inevitabilmente giunte anche qui. Nonostante la folle serie di bombe di Mururoa. E resiste, perché la natura rimane incantevole e dominante, gli antipodi sono sempre lontani e gli abitanti ancora avvolti nella leggenda del buon (e bel) selvaggio. Così, basta il nome a innescare la fascinazione. Tahiti, Polinesia, Oceano Pacifico. Mari del Sud, territori dell'altrove. Dove, da qualche parte, qualcuno ha segnalato il Paradiso. Non celeste, ma terrestre. Qui, in questa vita, a portata di tutti, almeno di coloro che hanno l'opportunità di visitarlo se non di viverci dentro ...