Cammelli
Ancor oggi i robusti e lanosi cammelli battriani sono
utilizzati, per la proverbiale resistenza a climi e
terreni, nel trasporto di merci lungo quell’intreccio
di vie carovaniere (che, semplificando, si definisce
Via della Seta) che collegavano Oriente e Occidente,
l’impero cinese delle molte dinastie e il mondo del
Mediterraneo, prima greco, poi romano, con in mezzo
l’antica Persia a far da filtro e cerniera. La modernità
è giunta anche qui, come sull’altipiano a 4.000 metri
della Valle del Karakorum, nello Xinjiang cinese, dove
una piccola carovana di cammelli si rimette in marcia
dopo la tormenta di neve lungo la strada asfaltata a
pochi km dal confine con Pakistan e Afghanistan. Tra
i reperti presenti a Treviso, la terracotta di epoca
Tang di una ragazza addormentata su un cammello.
Seta
Greci e romani chiamavano la Cina “il paese della seta”.
La figura femminile di terracotta, con veste rossa ad
ampie maniche ed estremità a forma di tromba, risale
alla dinastia degli Han occidentali (206 a.C.-8 d.C);
l’utilizzo della seta negli abiti e le fantasie di lavorazione
e ricamo raggiungono il massimo splendore nei secoli
di dominazione Tang (618-907 d.C.). Esistono ancora
fabbriche che assicurano l’intero ciclo artigianale:
dalla bollitura dei bozzoli alla tessitura con telai
tradizionali.
Offerente
Mercato di Zawa, lungo il tratto meridionale della Via
della Seta che attraversa lo Xinjiang. La dinastia Tang
fu artefice di quella che i cinesi considerano la fase
più gloriosa della propria storia, il loro Rinascimento
(otto secoli prima di quello occidentale). Il canone
estetico dell’epoca voleva donne paffute, come mostra
uno dei pezzi pregiati della mostra: la terracotta Cameriera
detta anche “L’Offerente”, per le mani aperte e rivolte
all’insù nell’atto di reggere o offrire qualcosa.
Giada
Sarcofago di giada, della dinastia degli Han occidentali,
periodo degli Stati combattenti: il più antico vestito
di giada assemblato con fili d’argento rinvenuto in
Cina, costituito da 2.116 placche di giada e da un kg
di filo d’argento, a forma di corpo umano. Un tempo
si credeva che lo spirito di un morto vivesse in eterno
se il suo corpo veniva sepolto avvolto in un abito di
giada. Già allora i migliori giacimenti erano ritenuti
quelli di Hotan, dove ancora oggi si cerca la giada
lungo i fiumi.
Intervista
a Bartabas
(testo di Antonio Politano,
foto di Alessandro Barteletti e Antonio Politano)
Corpi
che danzano su cavalli, monaci che cantano nella penombra,
magnificenza di maschere e costumi, odore di stalla
e incenso. Opera equestre, omaggio al Tibet, nuova tappa
dello sviluppo di un’arte singolare, teatro e sogno.
Loungta, i cavalli di vento, l’ultima creazione di Bartabas,
carismatico fondatore e leader della compagnia Zingaro,
è in Italia dal 30 settembre al 19 ottobre, clou della
ventesima edizione del Romaeuropa Festival. Ispirato
al racconto della nascita, morte e reincarnazione contenuto
nel Bardo Thodol, il Libro tibetano dei morti, lo spettacolo
si avvale dello stupefacente accompagnamento sonoro
dei monaci del monastero di Gyuto, in esilio nel nord
dell’India in seguito all’invasione cinese del Tibet.
«In genere non scelgo il tema delle mie opere in base
alla fascinazione per un paese» spiega Bartabas, parigino
di nascita, ma da tempo artista nomade dall’identità
multipla. «Lavoro seguendo ciò che voglio esprimere
interiormente e in base alle suggestioni suggeritemi
dalle musiche, non necessariamente legate a una cultura
in particolare, e poi le metto in relazione con i cavalli».
Conosceva da oltre vent’anni la musica tibetana; tre
anni fa è nata l’ispirazione per lo spettacolo. «Le
mie creazioni partono sempre dalla musica, in accordo
con i miei stati d’animo. Loungta è un po’ un caso a
parte, perché è nato anche dall’esigenza di parlare
di una cultura importante, di mettermi al servizio di
una causa giusta». La cinesizzazione del Tibet continua
inesorabile, in linea con il frenetico modello di sviluppo
centrale: proprio lo scorso primo settembre le autorità
di Pechino hanno celebrato in pompa magna il quarantennale
della trasformazione del Tibet nella regione autonoma
dello Xizang, la “Dimora del Tesoro occidentale”, come
recita beffardo il suo nome in cinese ... |
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La
Via della Seta e la civiltà cinese
(testo
& foto di Antonio Politano,
oggetti esposti nella mostra "La nascita del Celeste
Impero")
La Cina sbarca in Italia, questa volta senza invasioni
commerciali ma con le testimonianze magnifiche del suo
passato: vestiti di giada cuciti con fili d’argento,
guerrieri di terracotta, armature di pietra, draghi
di bronzo, Buddha di argilla, affreschi, ceramiche,
specchi, vetri, lacche, ori, sete. Il 22 ottobre si
è aperta a Treviso “La nascita del Celeste Impero”,
primo appuntamento (Casa dei Carraresi, fino al 30 aprile)
del ciclo di quattro grandi mostre biennali, organizzato
dalla Fondazione Cassamarca con l’Accademia cinese di
cultura internazionale, intitolato “La Via della Seta
e la Civiltà Cinese”: un viaggio alla scoperta di duemila
anni di arte e storia sviluppatesi durante le “dinastie
celesti”, giudicato dalla Direzione nazionale dei Musei
della Cina «il più importante progetto culturale cinese
mai realizzato fino a oggi in Europa». La mostra attuale
si concentra su un arco di tempo di oltre un millennio,
dall’alba dell’Impero Qin al tramonto dell’Impero Tang,
considerato l’“età d’oro della cultura cinese”: dal
221 a.C., fondazione dell’Impero Celeste, inizio della
storia della Cina come entità statale centralizzata,
al 960 d.C. quando irrompe sulla scena la dinastia Song.
Cavallo
Stalliere e cavallo, splendidi soggetti di terracotta
di epoca Tang. Lo stalliere, dal cappello bianco e la
veste gialla, regge con le mani le redini del cavallo
nero dalla criniera bianca. Il cavallo ha sempre rappresentato
un elemento fondamentale nello sviluppo delle aree attraversate
dalla Via della Seta, per spostamenti, commerci, campagne
militari. Al mercato di Kashgar, il più vasto dell’Asia
centrale, i cavalli vengono sottoposi a prove di destrezza
e docilità prima di procedere all’acquisto.
Guerrieri
Sono diversi i reperti esposti a Treviso provenienti
dal Museo dei guerrieri e cavalli di terracotta dell’esercito
dell’imperatore Qin, venuto alla luce dopo ventidue
secoli di ignorata sepoltura nella fossa di Lintong
a Xi’an, terminale orientale della Via della Seta: un
ufficiale, due soldati, un cavallo e un balestriere
inginocchiato. Gli arcieri e i balestrieri, armati anche
di spada, erano sempre in prima linea, per scagliare
frecce in rapida successione e difendere l’avanzata
dell’esercito.
Tombe
Ceramica a tre colori, dinastia Tang, raffigurante un
guardiano piazzato alle porte delle tombe per spaventare
gli spiriti maligni grazie al suo aspetto minaccioso
(corna sul capo, grandi orecchie dritte, fiamme dietro
la schiena). I guardiani dipinti di marrone, giallo
e verde sono tra gli oggetti più singolari rinvenuti
nelle sepolture. Ai margini meridionali del Taklamakan
(uno dei deserti più spaventosi del mondo, il cui nome
significa “se entri non esci”) sorgono le tombe nella
sabbia dell’Imam Hazim e di alcuni suoi discepoli, luogo
eletto di pellegrinaggio per i musulmani della Cina
occidentale. Attraverso la Via della Seta arrivarono
merci, genti, tradizioni culturali, musiche, danze e
fedi: prima il Buddhismo, dall’India originaria, attraverso
l’Himalaya; più tardi l’Islam, introdotto dai mercanti
arabi, che rappresenta oggi la religione più diffusa
nella regione dello Xinjiang.
Intervista
a Marco Goldin
(immagini AA.VV.)
Da anni è il Re Mida delle mostre in Italia. Prima c’era
stata la lunga stagione di Treviso, con il ciclo di
esposizioni - tra le più visitate di sempre - dedicate
a Monet, Van Gogh, Cézanne. Poi, dall’anno scorso, il
progetto quadriennale di Brescia, avviato con “Monet,
la Senna, le ninfee” (440 mila visitatori), e la puntata
a Torino, in proiezione delle Olimpiadi invernali, di
“L’impressionismo e la neve” (300 mila visitatori).
Marco Goldin, critico d’arte, organizzatore, scrittore,
imprenditore, non si ferma più. Puntuale, come ogni
autunno, arriva la sua mostra-monstre: il 22 ottobre
si inaugura a Brescia “Gauguin, Van Gogh. L’avventura
del colore nuovo”, già evento di massa ancor prima di
debuttare visto che, a due settimane dall’apertura,
le sole prenotazioni toccano quota 200 mila, un record.
Qualità delle scelte, grandi nomi, strategia di comunicazione,
iniziative collaterali, invenzioni. Fino ad oggi, per
esempio, non si era ancora vista una tournée teatrale
di dieci date (debutto il 15 settembre a Milano, chiusura
il 21 ottobre a Brescia) per presentare una mostra d’arte.
Goldin, che coltiva una sua passione per poesia e letteratura,
ha scritto un atto unico, “Lontano dal mondo”, dove
Gauguin e Van Gogh, artisti autodidatti, geni non riconosciuti
in vita, drop-out in fuga, ripercorrono le loro esistenze
nel “tempo finale della vita”, come scrive Goldin: “in
punto di morte, quando davvero andiamo incontro al buio”
e “cerchiamo invece in ogni modo di incontrare la luce”
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