Interviste a...
   

Di seguito sono riportati alcuni brani estratti da interviste realizzate nel corso degli anni. Chi fosse interessato al testo completo di qualche intervista in particolare può scrivere a: apolitano@artsrl.it
       
 
Tahar Ben Jelloun Fosco Maraini
Piero Boitani Reinhold Messner
Walter Bonatti L. Padura Fuentes
Duccio Canestrini Renata Pisu
Giuseppe Cederna Fulco Pratesi
Paolo Conte Hugo Pratt
Domenico De Masi P. Roversi e S.Blady
Staffan de Mistura Alberto Salza
Luciano Del Sette Luis Sepulveda
Ernesto Ferrero Giovanni Soldini
Umberto Galimberti Wim Wenders
Carlo Lucarelli Alex Zanotelli
Stefano Malatesta  
   
e sulla fotografia:  
Giovanni Cozzi Gianni Mascolo
Marco Delogu Don Mc Cullin
Pietro Di Giambattista Grazia Neri
Leonard Freed Andrea Pistolesi
Cesare Gerolimetto Ferdinando Scianna
Roberto Koch

Michael Yamashita

   
               
   
         
               
 

Tahar Ben Jelloun, scrittore franco-marocchino, sempre in movimento attraverso due culture, la maghrebina di origine e l'europea di approdo, sul viaggiare, Ibn Battuta, le Colonne d'Ercole.

"… Amo molto viaggiare. Sono in viaggio sempre, quando leggo, scrivo, vedo un film. Anche quando incontro un'altra persona; è una forma di viaggio, viaggio in un essere umano. D'altra parte oggi i viaggi sono diventati così frequenti, che si ha a volte l'impressione di trovarsi in una specie d'isteria, di non avere più il tempo di assaporare il piacere dei luoghi. Non si ha più nemmeno il tempo di realizzare che si sta andando dall'altro lato dell'Atlantico che si è già arrivati. Viaggiare è diventato una sorta di conferma di idee che ci siamo fatti su un luogo che, visitandolo, verifichiamo se corrispondono effettivamente a realtà. Mi sembra che non ci sia più scoperta o che ce ne sia sempre di meno. Bisogna però dire che ci sono persone che non si servono totalmente dei comfort di oggi, e che fanno viaggi a piedi o a cavallo, attraverso deserti o montagne, che arricchiscono molto di più del prendere semplicemente un aereo, scendere in un albergo come tutti, partecipare a un viaggio organizzato, senza gioire in fondo di nessuna sorpresa …"

 

Walter Bonatti, figura mitica dell'alpinismo internazionale, sulla spedizione italiana al K2, su scalate in gruppo e solitarie, colleghi e sponsor, esperienze e conoscenza di sé.

"… L'alpinismo è un gioco e come tutti i giochi ha certe regole. Se ci si vuole misurare con le difficoltà, bisogna vincerle non demolirle, a differenza di quanto accade oggi grazie alle nuove tecniche di arrampicata, agli apparecchi radio e ad altri bip-bop di turno. L'alpinismo non decade se fatto in un modo che esalta e soddisfa la curiosità, la lotta, la ricerca, la dimensione umana che c'è in noi. L'alpinista è solo un modo di essere uomo, sensibile, coerente, rispettoso di sé, degli altri e dell'ambiente che ci circonda …"

 

Giuseppe Cederna, attore e viaggiatore, sulla sua ascensione del Monte Kenya sulle tracce di Felice Benuzzi, che nel 1943 evase da un campo di prgionia inglese per il gusto di scalarlo.

"… Il monte Kenya è un luogo che ha un fascino particolare, una montagna che è una specie di ossessione perché non la vedi mai. Anch'io la prima volta, tanti anni fa, avevo visto solo nuvole. Poi avevo letto un libro. A me piace molto quando i viaggi partono da storie, da libri, e poi seguono le orme di qualcuno. Otto anni fa me ne aveva parlato per la prima volta Enzo Monteleone, per farne un film. Fatto poi dagli americani, bruttissimo. L'anno scorso volevo fare un viaggio, ne avevo il tempo, e il monte Kenya è diventato non più un sogno improponibile perché c'era il tempo necessario per prepararlo. Ho riletto il libro e, oltre che viaggiatore, mi sono sentito come un attore che aveva un copione. L'attore cosa fa? Si prepara, legge il copione, si emoziona se il copione gli piace, incomincia ad allenarsi, a vedere cosa fanno i personaggi. E finalmente il viaggio si è messo a fuoco, abbiamo comprato l'attrezzatura, abbiamo corso per un mese e mezzo, siamo andati a sciare per una settimana sopra 3000 metri. Il monte Kenya è un piccolo mondo di 5200 metri. E 5200 metri sono molto alti. Noi siamo abituati a pensare o al niente, i 2000-3000 metri delle Alpi o agli 8000 degli eroi. In mezzo c'è una quantità di avventure che per gli uomini medi, normali come noi, sono grandi avventure. La quota è impegnativa e ci sono venti vie diverse per andar su. Noi abbiamo scelto quella di Benuzzi ..."

 

Domenico De Masi, sociologo attento alle tematiche di turismo e tempo libero, su "la tribù che siamo noi" (dal punto di vista del samoano Tuiavii di Tiavea), ozio, mondo globalizzato, culture altre.

"… Viaggiare era parte integrante della vita aristocratica, poi è passato a far parte integrante della vita borghese. Accade alla fine dell'800 con l'arrivo di mezzi come il treno e si è sviluppato poi con l'aereo. Oggi 900 milioni di persone hanno 40 giorni di ferie e di questi almeno la metà li trascorre viaggiando o comunque spostandosi per raggiungere le località delle ferie. Il viaggiare è quasi una condizione stabile dell'essere umano: si viaggia per lavoro o per turismo, c'è il turismo religioso, quello sessuale, il turismo di svago. Tutti i vari motivi che ci portano a essere irrequieti sono compresenti. A questo ci si è aggiunto un fatto nuovo da circa dieci anni: il viaggiare virtuale, tramite Internet. Siamo degli esseri viaggianti, la stanzialità è completamente sopraffatta dal movimento …"

 

Luciano Del Sette, giornalista, su come si va alla scoperta di una città, su come la si racconta, che propone cinque criteri di una possibile mappa da tenere in tasca accostandosi a una città.

"... Il primo criterio è perdersi, perché se ti perdi scopri comunque cose che le direttrici classiche del viaggiare non ti permettono di assaporare. Non noti i dettagli, non ti infili in posti sbagliati che ti costringono a fare giri viziosi che la guida tende magari a risparmiarti. Rispetto a una grande città come Roma, per esempio, l'equivoco è che esista solo la Trastevere che va da Viale Trastevere a Santa Maria mentre ne esistono molte altre completamente diverse. Il secondo criterio, che usano molto i turisti stranieri, è il naso all'insù. Perché la città a misura di altezza media ti ingabbia comunque dentro uno spazio fisico, invece il guardare su ti fa scoprire valori differenti, dal particolare del balcone a come il cielo si combina con il gioco delle luci, al materiale delle case, alle terrazze ..."

 

Umberto Galimberti, psicoanalista e filosofo, su "l'etica del viandante", senza meta e punti di partenza e arrivo che non siano occasionali, riferimento di un'umanità a cui la tecnica consegna un futuro imprevedibile.

"… La metafora del viaggio è valida non solo per uscire dall'abituale, incontrare l'insolito, esporsi a ciò che non abbiamo previsto. Per me diventa addirittura un'etica, l'etica del viandante, una sorta di paradigma per l'uomo contemporaneo. Finora abbiamo avuto delle etiche che si muovevano all'interno di paesaggi stabili. Oggi ci troviamo nella condizione di dover continuamente rincorrere delle assolute novità: si può clonare, si può dare l'utero in affitto. Per cui non è più possibile un'etica in un paesaggio stabile. Bisogna fare come i viandanti. Cosa fanno i viandanti? Camminano, non hanno in vista una meta, e incontrano il fiume, la montagna, risolvono cioè la contingenza di volta in volta. Fanno i conti con la differenza, sanno aderire ai paesaggi e dire addio. Il viaggio diventa la grande metafora del risolvimento della contingenza, in un paesaggio sconfinato, che non ha confini determinati per cui sono conoscibili delle etiche stabili ..."

 

Stefano Malatesta, giornalista-scrittore, su presenze, memoria, protagonisti, paesaggi di deserti sahariani o arabici, asiatici o sudamericani, "posti vuoti" pieno di cose e storie, uomini blu, militari, avventurieri.

"… Posso dire di conoscere bene alcuni deserti. In Africa, quello libico, quello egiziano, quello somalo; e poi altri, come l'Atacama, in Sudamerica, o il Taklamakan, in Asia. Adesso hanno fatto del deserto un'altra destinazione turistica, si vedono gruppi turistici che ci vanno come andassero in Costa Smeralda. Ma solo nel '900 viene preso a modello come qualcosa di bello. Prima era l'inferno; era l'oasi il paradiso. Ma il deserto è una cosa abominevole. Tutte le descrizioni del deserto dei grandi viaggiatori ne parlano come di una cosa mostruosa, abitata non a caso dai demoni; infatti non a caso gli antichi cristiani andavano nel deserto per incontrarli, solo i demoni potevano abitare solo un luogo così spaventoso. Adesso c'è questa formula estetizzante che praticamente annulla il cuore di piombo del deserto che è la paura. Il fascino del deserto stava esattamente nella paura. Attraversavi il deserto, ma eri attanagliato dalla paura. Era lì il fascino, un fascino pericoloso. Ora non più, il fascino se ne è andato. È rimasta la buccia esterna, col satellitare ti vengono a prendere dove ti pare …"

 

Reinhold Messner, alpinista, il primo a conquistare senza ossigeno tutti i 14 ottomila della Terra, scrittore, sull'andar per montagne, spirito dell'alpinismo, spedizioni e sponsor.

"… Io, dopo l'alpinismo, ho fatto avventura. E rimango un avventuriero, quando prima o poi non avrò più la capacità fisica per esserlo farò altre cose. Sono un esploratore del limite, io. E non mi interessa neanche essere il primo a conquistare questo o quello, mi interessa solo stare fuori e fare esperienza …"

 

Renata Pisu, giornalista e studiosa di paesi e culture orientali, su Transiberiana, Cina, Giappone, India, dovere di raccontare quel che si vede, odore dei luoghi, nostalgia e incontri.

"… Il mal di Cina è come il mal d'Africa. È una perenne continua nostalgia. Ma di cosa non si sa. Anche se lo chiedi a chi ti parla di mal d'Africa non sa rispondere. Si potrebbe dire della nostalgia del "come eravamo", ma sarebbe troppo semplice. Secondo me si può avvicinare più al dolore del ritorno, nostalgia significa proprio questo etimologicamente. Però non è tanto il dolore del ritorno, non è tanto il pensiero della giovinezza, ma è anche la registrazione dolorosa e intensa delle mutazioni non solo personali ma dei luoghi. E credo che, negli ultimi decenni, non ci sia stato luogo che sia mutato così tanto come la Cina. Il mal di Cina può essere anche un piacere, fatto del suono della lingua, degli odori, dei sapori, delle espressioni. I luoghi contano, ma sempre in quanto luoghi abitati, fatti dal flusso continuo degli uomini, dai gesti. È l'umano che mi interessa. Sebbene gli incontri non siano sempre piacevoli, possono essere anche ostici, metterti in posizione difficile, creare shock culturali …"

 

Hugo Pratt, disegnatore, narratore, creatore di Corto Maltese, sui Mari del Sud, terre e acque attraverso cui si muoveva spesso per approfondire le sue ricerche e rendere omaggio ai suoi miti.

"… Le immagini del Pacifico sono entrate nella mia fantasia a Venezia, quando avevo 6 o 7 anni, tramite le figurine della Liebig. Erano disegni bellissimi, curati nei dettagli, pieni di paesaggi esotici e personaggi incredibili. Più tardi ho scoperto il fascino delle carte geografiche, degli atlanti, del viaggio, e la mia immaginazione ha iniziato a riempirsi di tutto un mondo incantato legato a quei nomi - Oceania, Micronesia, Polinesia - che già di per sé suonavano dolcemente e misteriosamente invitanti. Più tardi cominciai con le letture, dall'"Isola del tesoro" di Stevenson ai "Racconti dei mari del sud" di London; e quindi con i film, come "Tabù" di Murnau o il primo "Bounty". Le storie, i loro personaggi si mescolano con la realtà dei fatti accaduti nel Pacifico, gli esploratori che l'hanno percorso, i velieri che hanno dominato le sue onde e quelli che sono finiti contro le scogliere …"

 

Alberto Salza, antropologo, su diversi possibili sensi del viaggiare, "persone dell'ecosistema" e "uomini della biosfera", glocalizzazione, andare a piedi, genti d'Africa, steppe dell'Asia centrale.

"… L'antropologo è il peggior ladro del mondo: ruba cultura. Più che essere preso dal sacro fuoco del viaggiare, è obbligato alla fuga, specchio convesso del viaggio. Scappa da se stesso e dai suoi affini (sindrome dell'"ho visto cose che voi umani non potreste immaginare") e, dopo fugaci (per quanto prolungati nel tempo) incontri con gli alieni, quasi amori clandestini, riscappa verso casa con i brandelli di interi mondi. In pratica, da antropologo, non parto mai: faccio vita di movimento. Oggetto del mio studio non è l'Uomo in sé, quanto piuttosto il suo "capitare" nel mondo. Attualmente mi sto occupando di antropologia quantistica: la coscienza dell'individuo pare funzionare secondo fenomeni quantici, per mezzo di operatori logico-probabilistici (come le particelle elementari del multiverso fisico), mentre i gruppi e le culture seguono strutture empirico-deduttive. Ho capito così che l'universo non è fatto di particelle, ma di storie a grana grossa e fine: il mio movimento è verso le storie. Nell'andare si incontra di tutto e non si ricerca niente. I paesaggi? Chi, come me, si muove "lungo sentieri spaventosi, come quelli si presume esistano sulla Luna" (Rimbaud, lettera a casa dalla Dancalia), sa che non può scegliere: l'unico metodo è il destrutturarsi e divenire parte del panorama, in forme sempre diverse. Poi, un attimo prima del ritorno, occorre rimettere i cocci assieme, ogni pezzo un paesaggio fisico e mentale. In realtà, come per le donne, mi piacciono i paesaggi secchi …"

 

Luis Sepulveda, "narratore di storie" cileno, scrittore di gran successo, su frontiere e avventure, natura possente e luoghi alla fine del mondo, orizzonti e confini non solo geografici, favole e impegno politico.

"… La Patagonia, la Terra del Fuoco, l'Amazzonia e il mare rappresentano la possibilità di confrontarsi con la solitudine, di misurare se stesso. Mi sono sempre piaciute le sfide e ogni volta che visito questi luoghi mi confronto con sfide nuove. L'enorme estensione della Terra del fuoco e della Patagonia mi insegna che l'avventura umana è la più bella di tutte le avventure, che la sete di vivere mostrata dalla gente che vive in climi rigidi li nobilita e dona uno strano e grande senso alle loro vite. È proprio in queste estensioni battute dal vento che ho incontrato i più grandi esempi di solidarietà e fraternità. In Patagonia c'è un abitante ogni 18 chilometri quadrati e la parola straniero non esiste. Non esistono stranieri, perché sono, siamo tutti stranieri, un insieme straordinario di culture e nazionalità diverse, di immigrazione portentosa arrivata da tutto il mondo. E imparo sempre qualcosa di nuovo, perché il vero viaggiatore è sempre un uomo disposto a imparare. La prima volta che ho visitato la Terra del fuoco avevo diciassette anni, ero molto forte, vigoroso, però non avevo nessuna esperienza. L'ultima volta avevo quarantacinque anni, non ero né tanto forte né tanto agile, ma una grande esperienza di vita mi ha insegnato a misurare ed economizzare le forze …"

 

Padre Alex Zanotelli, missionario a più riprese in Africa, ex-direttore di Nigrizia, oggi esponente dei movimenti della società civile, su Nord e Sud del mondo, rispetto delle culture, sviluppo sostenibile.

"… Il turismo in Africa ha portato ben poco; anzi, ha distrutto. Ha arricchito le grandi compagnie turistiche. Ad esempio in Kenya, nei grandi hotel di Mombasa o Malindi, buona parte del cibo viene da fuori, dall'Europa, dall'America; l'unica cosa che viene usata localmente è la manodopera pagata a basso prezzo. Il turismo lascia disastri culturali. Negli anni Ottanta, per esempio, da Monaco partivano uno o due aerei mensili diretti sulle coste del Kenya, etichettati come "sexplains", cioè aerei per sesso. Il disprezzo che il turista ha, i modelli che esporta, diventano lentamente una maniera per distruggere valori, culture, è questa la tragedia del turismo non solo in Africa ma ovunque. Si parla spesso di turismo responsabile, so che ci sono vari tentativi in atto, anche belli, ma di turismo responsabile si potrà parlare solo quando andremo all'altro con la capacità di metterci umilmente al suo ascolto, per uno scambio: solo così il turismo diventerà davvero responsabile e non un'altra arma per distruggere culture e civiltà nel Sud del mondo …"

 

Ferdinando Scianna, fotoreporter, corrispondente e inviato speciale, primo italiano a entrare nello straordinario gruppo di fotografi membri dell'agenzia Magnum Photos, uno dei fotografi italiani più conosciuti e quotati.

"… Certi luoghi, l'ho scoperto a poco a poco, mi interessano perché vi ritrovo le atmosfere, i modi di vita della mia infanzia. Altri perché stimolano il mio gusto per la surrealtà. Non amo l'orrore e non amo il mondo patinato. Anche dove c'è dolore e fatica cerco di portare uno sguardo fraterno, solidale. Non credo più né alle denunce, che sono diventate anche loro un genere, né alla pura contemplazione della bellezza. Il Sudamerica mi affascina molto per i paradossi che l'innesto del cattolicesimo vi ha provocato, come in Sicilia. Credo di non avere capito niente del Giappone. Ero troppo giovane quando ci sono andato. Vorrei andare a scoprire qualche pezzettino di Cina. Non ci sono mai stato. Ma la cosa che continuo a volere fare e a rimandare è un viaggio vero in Italia. Un viaggio non turistico. Ne vedo assai pochi …"
       
       
 

Piero Boitani, tra i massimi esperti di Ulisse (non solo) in Italia, sull'Odissea, archetipo di ogni narrazione (anche di viaggio), e il multiforme Odisseo, padre di tuti gli erranti d'Occidente.

"… La geografia dell'Odissea ha due punti fermi. Uno è Troia, nell'Asia minore, quasi sullo stretto dei Dardanelli; e l'altro, Itaca, sulla costa ionica della Grecia. Il problema è che nel momento in cui Ulisse lascia Troia, si inoltra man mano in una geografia sempre più immaginaria e mitica. Per esempio quando naufraga a Cariddi, quindi in teoria nello stretto di Messina, da lì viaggia per nove giorni verso l'isola di Ogigia, che è il cosiddetto ombelico del mare, identificata con Gozo, al centro del Mediterraneo. Alcuni l'hanno invece identificata con Ceuta, vicino Gibilterra. Altri ancora nel mezzo dell'Atlantico: una tradizione raccolta da Joyce sostiene per esempio che Ogigia sia l'Irlanda; altri ancora sostengono addirittura che sia l'Islanda …"

 

Duccio Canestrini, antropologo-saggista, attento alle tematiche dell'impatto dei flussi turistici, su culture indigene, turismo sostenibile, possibili atteggiamenti touristically correct.

"... Purtroppo l'andare massificato del turismo industrializzato, che relega le vacanze a venti giorni di altrove organizzati e standardizzati, lascia poco spazio all'incontro con l'altro. Vieni a essere vittima di stereotipi dei quali non riesci nemmeno a scrollarti nonostante le tue migliori volontà perché è proprio la brevità delle vacanze che ti toglie la possibilità di relazionarti umanamente in termini accettabili. D'altra parte c'è una predeterminazione nel tuo modo di viaggiare che ti condiziona: lo storico ti dice che quando incontri l'indiano non sei tu che incontri l'indiano, ma è la tua civiltà che incontra l'altra civiltà; dietro c'è il colonialismo inglese, le norme, i traffici. Tu sei determinato, nei tuoi rapporti, dalla storia; un condizionamento di cui ognuno ha anche voglia di liberarsi ogni tanto con uno scrollone per sentirsi capace di relazionarsi da uomo a uomo. E allora ci provi e magari l'indiano ti dice "italiano-paolorossi" e tu ci resti da cane e nonostante la tua buona volontà ti senti un walking wallet, come dicono gli inglesi, un portafoglio che cammina e chi se ne frega delle tue buone intenzioni di bianco che ha avuto i soldi per venire qui. È una continua oscillazione: da una parte c'è il peso della storia, dall'altro la legittima aspirazione a relazionarsi tra esseri umani per cui ti può anche andare bene, puoi anche trovare delle amicizie, puoi riuscire a guardare negli occhi una persona e a essere onesto nei limiti appunto di questa costrizione che è data dalla brevità del contatto e dalla disparità geografico-economica …"

 

Paolo Conte, funambolico poeta della canzone d'autore italiana, su straniamenti geografici e sentimentali, avventurieri di provincia e città, Langhe e Parigi, Bar Mocambo, Afriche e Sudameriche.

"… Quando viaggio mi capita di fissare la tinta di fondo, quella dominante, del paesaggio che incontro. Così come mi viene istintivo di toccare con le mani la terra per sentirne la consistenza e l'essenza. Se attraverso luoghi che sono stati abitati dagli Etruschi (anche se non so niente di quel popolo), mi viene istintivo sentirne ancora una specie di presenza nei colori tutti magnetici del cielo e dei terreni. Paradossale: ho provato queste sensazioni "etrusche" a San Francisco, in una sua ambiguità climatica e nella qualità di certi suoi silenzi ..."

 

Staffan de Mistura, che in più di trent'anni di impegno all'interno del sistema Onu ha ricoperto molti incarichi speciali, sullo stato del mondo visto con gli occhi delle Nazioni Unite.

"... Se da una parte il mondo è diventato molto più piccolo, una sorta di villaggio in cui si comunica e si viaggia estremamente in fretta, dall'altra c'è una porzione di mondo che non ha accesso a questo sviluppo ed è come se avesse fatto in realtà dieci passi indietro. Perché se prima doveva prendere un treno e non aveva nemmeno la possibilità di salire su una bicicletta, prendere oggi un aereo sembra una possibilità ancora più remota. E lo stesso discorso vale anche per internet e la dimensione digitale. Che il mondo sia diventato più piccolo lo dimostra, in negativo, anche l'epidemia di una malattia come l'Aids, che ha travolto ogni frontiera immaginabile, etnica, religiosa, geografica. Questo stesso mondo avrebbe bisogno, invece, di allargarsi in quanto a capacità di intervenire e applicare rimedi su scala globale, ma non lo fa: il caso classico è il costo altissimo di alcuni medicinali che potrebbero ritardare enormemente il progredire dell'Aids (tanto che si potrebbe sperare di riuscire a scoprire, nel frattempo, un rimedio definitivo della malattia) e che sono inaccessibili proprio per chi è più colpito dall'epidemia, come la popolazione africana ..."

 

Ernesto Ferrero, scrittore, editore, cultore di Emilio Salgari, sul mito del Capitano che non viaggiò (quasi) mai, su Sandokan, Mompracem, Malesia, senso dell'onore, distanze tra i Qui e gli Altrove.

"… L'altrove è in noi, nessuno è più lontano e misterioso delle persone che ci vivono accanto. La globalizzazione è un fatto compiuto, cui non resta che opporre la tutela delle diversità, dei linguaggi e delle culture di nicchia. Ma paradossalmente, pur consumando gli stessi oggetti e le stesse mode, nel mondo globalizzato vediamo crescere un odio per il vicino che non sospettavamo così devastante. Oggi un possibile altrove lo possono fornire soltanto le scienze fisiche, con le loro mirabolanti ipotesi cosmologiche. Quanto a Salgari, credo che fosse vissuto nella seconda metà del Novecento sarebbe stato anche un bravo scrittore di fantascienza. Avrebbe studiato, si sarebbe documentato, avrebbe trasferito nelle lontane galassie inseguimenti e vendette, intrecci d'onore e di morte ..."

 

Carlo Lucarelli, scrittore di noir, sull'unica strada che in Italia corre dritta per quasi 300 km, la Via Emilia, la Route 66 del Belpaese per la formidabile concentrazione di cineasti, letterati, musicisti.

"… Noi emiliano romagnoli abbiamo una particolarità, siamo una specie di popolo nomade. Mentre chi vive in altri posti sta in quei posti, chi vive a Roma o per esempio a Lecce si muove e ha le sue coordinate dentro la città, chi vive in Emilia Romagna vive all'interno di una specie di strana megalopoli. È qualcosa che diceva già Tondelli: chi vive dalle nostre parti dorme a Modena, lavora a Bologna e va ballare a Rimini. Questo asse che è la via Emilia, e la sua parallela che è l'autostrada, è come se fosse la strada di casa. Io sto a Morgano, che è vicino Imola, ma se vado a comprare un libro vado a Bologna, se devo andare al cinema vado anche fino a Rimini. La Via Emilia e l'autostrada, a volte anche gli stradelli, sono le mie tratte. È come se fosse il corso principale di una città, una città che è fatta di Modena, Piacenza, Rimini, di tutto quello che sta sulla e attorno alla via …"

 

Fosco Maraini, singolare figura di intellettuale anglo-toscano-giapponese, etnologo, narratore, fotografo, alpinista, su viaggiare come lezione di diversità, Oriente, montagne, Tibet, Giappone.

"… Nel Tibet di oggi, con tutto il male che si può pensare della situazione, ci sono strade, veicoli, negozi. Nel '37 era veramente un tuffo nel medioevo. Quando si lasciava Gantok, ai confini dell'India, si diceva addio alla civiltà e al mondo per sei mesi. Potevano essere scoppiate dieci guerre, non l'avremmo saputo; era affascinante quel tuffo nel nulla. Anche per fotografare era diverso. A quei tempi non esisteva il lampo elettronico, il flash. Si usava la polvere di magnesio conservata in barattolo. Si versava su una specie di piastrina, che aveva una pietra focaia che si comandava con un dito, si accendeva e bruciando faceva luce al cospetto di lama e monaci tibetani. Il lampo di magnesio era un procedimento molto incerto, difficile. Stavo con il terrore di tornare in Italia dopo sei mesi con tutto il materiale sovraesposto o sottoesposto, perciò mi ero portato tutti gli acidi necessari per sviluppare sul posto le pellicole. E l'ho fatto rubando le ore al sonno, perché si viaggiava sempre e poi la sera dovevo cercare una stanza per sviluppare le pellicole. Certe volte le ho dovute rifare …"

 

Leonardo Padura Fuentes, scrittore cubano, ex-cultore di Hemigway, sul suo rapporto con lo scrittore americano e su quello del Papa con Cuba, l'isola dove visse, tra un viaggio e l'altro, per quasi trent'anni.

"… Io sono vicino a quelli che dicono che Hemingway non aveva capito niente dell'isola: Cuba per lui è uno spazio, non una cultura da avvicinare. Un luogo dove vivere e scrivere tranquillamente, vicino al mare. Parlava molto male lo spagnolo, malgrado i suoi tanti anni di residenza. Non partecipò mai a una conferenza, non si interessò degli scrittori cubani. E poi mangiava come un nordamericano: nessuno qui beve vino, beve rum o birra, lui beveva sempre vino. Visse Cuba come folklore, senza capirla. Faceva quel che voleva, senza che nessuno lo disturbasse, prigioniero del personaggio che inventò, di una necessità di trascendenza che fece sì che la sua casa si convertì in una specie di museo vivente, con i trofei di caccia alle pareti, i libri, la piscina dove Ava Gardner fece il bagno nuda …"

 

Fulco Pratesi, naturalista, polemista, fondatore e presidente del Wwf Italia, la voce più forte e autorevole del movimento ambientalista italiano, sull'andar per natura, viaggiare leggeri, impatto e rispetto.

"… Per me viaggiare significa due cose. Innanzitutto, fare esperienza di luoghi diversi, soprattutto naturali e selvaggi. In secondo luogo, trasferire questa esperienza nel nostro mondo, quello occidentale cosiddetto sviluppato, e attivare correnti ecoturistiche verso questi luoghi in maniera di dare la possibilità a chi gestisce gli ambienti protetti di fruire del reddito che l'ecoturismo garantisce. L'importante è comportarsi sempre come ospiti in casa d'altri, con molta circospezione, umiltà, prudenza. E rispettare tutto ciò con cui si entra in contatto. Tradizione e costumi, ma soprattutto flora e fauna. Non raccogliendo conchiglie, non toccando coralli, non comprando oggetti vietati in avorio, tartaruga e così via. L'importante è viaggiare sapendo bene quello che si va a fare, informandosi prima di partire per attrezzarsi al meglio, sebbene non in maniera eccessiva perché più si può viaggiare leggeri tanto meglio si viaggia …"

 

Patrizio Roversi e Syusy Blady, i due "turisti per caso" della tv italiana, due sguardi posati su bellezze, luoghi comuni e miti del mondo, con voglia di capire, ironia, sostanza e leggerezza.

"… I nostri sono diari di viaggio molto personali. Non abbiamo l'ansia di raccontare non so "New York" o "l'India", ma semplicemente ciò che ci è accaduto. C'è una bella differenza rispetto allo sguardo del giornalista che vuol cercare di essere obiettivo; il nostro è un punto di vista assolutamente soggettivo. Non sarà la verità oggettiva, ma è la nostra. I luoghi li hai già visti mille volte, attraverso cartoline, libri, tv, cinema. In quest'universo di omologazione la differenza è nelle cose minime. Quello che tu puoi riportare è l'appunto minimale. "Turisti per caso", in quest'epoca post-post, documenta proprio questo. Io mi fido di chi dice le cose in prima persona, con sincerità e con una certa leggerezza. Prima di partire, fai qualche lettura, cerchi qualche riferimento; ma non troppo. Viaggiare in un posto senza saperne molto ti dà uno sguardo un po' simile a quello dello spettatore e le domande ti sgorgano dall'anima, ti ritrovi a fare un percorso che documenti. I primi due o tre giorni di smarrimento sono fondamentali, ti vengono delle domande, ti tormenti, pensi che non stai capendo niente; poi cominci ad avere delle risposte, possibilmente dalla gente del posto, e a ricostruire. È dopo il ritorno, quando visioni il materiale girato e vai a leggere e a studiare, che ti fai un quadro preciso …"

 

Giovanni Soldini, navigatore in solitario e in equipaggio, su grandi regate, giri del mondo, rotte da seguire, vivere a contatto diretto con la natura, buon vento.

"… Ho cominciato ad andare in barca proprio perché avevo voglia di viaggiare e mi sembrava che la vela fosse un ottimo mezzo per viaggiare perché è un mezzo ecologico, perché ha dei ritmi di un certo tipo, perché ti porti dietro casa tua e quindi non hai tanti bisogni quando arrivi in un posto nuovo. Ciò che trovo molto bello è lo scorrere del tempo, il fatto cioè che tu parti dall'Italia e vai in Brasile, ci metti un mese e mezzo ed è secondo me molto positivo, perché ti lascia il tempo di uscire dalla tua condizione di cittadino stressato e di prepararti a una nuova condizione che è invece di uno che arriva in un paese nuovo con della gente nuova, che parla un'altra lingua, che ha un'altra cultura. Se ci impieghi dieci ore con un Boeing 747 arrivi in un certo modo. Se ci metti un mese e mezzo arrivi invece che sei molto più disponibile verso l'esterno, hai molta più voglia di scoprire, di avere dei contatti, hai conquistato l'approdo e sei, nello stesso tempo, in una posizione adatta a conoscere, ad avere degli scambi. Prima, certo, c'è anche tutta la parte del viaggio per arrivare, quando la barca ti porta e tu devi portare la barca, in uno scontro di favori ..."

 

Wim Wenders, regista tedesco, ma anche fotografo, su viaggi (tra Outback australiano, Midwest americano, monasteri giapponesi, Habana Vieja), differenze tra cinema e fotografia, influenze pittoriche.

"… Ho sempre invidiato quelle persone che sentivano un legame con un certo luogo che lo rendeva la loro casa, la loro vera terra, la loro patria. Per quanto mi riguarda, fin da bambino ero affascinato dall'idea che c'erano luoghi che non conoscevo. Il mio senso di identità non è mai venuto da un luogo che conoscevo, ma solo dal mio desiderio di continuare a cercare e ricercare. Questo mi dava il senso di chi fossi veramente. Non appena ero a casa, questa certezza veniva meno. La lista dei miei luoghi di elezione sarebbe molto lunga, ma anche sbagliata. Perché non ho mai pensato di essere io a scegliere i luoghi. Ho sempre immaginato che fossero loro a scegliere me. O almeno che io fossi colui che ne aveva sentito il richiamo e si fosse voltato per vedere ciò che loro volevano mostrare …"

 

Andrea Pistolesi, fotografo "di ambiente e di viaggio", specializzato nel reportage geo-etnografico, amante delle innovazioni tecniche in grado di estendere le potenzialità espressive delle sue immagini.

"… Fai il paragone con la professione di giornalista. Se vai a Timbuctù per fare un servizio sull'emigrazione in quella parte d'Africa, vai a parlare con le persone, vai a vedere dove vivono, gli chiedi cosa hanno fatto fino a ieri e cosa devono fare domani. In altre parole, quando torni, hai costruito una storia: hai l'ambiente, la persona, i suoi luoghi, la sua casa, il suo negozio, dove va a fare la spesa o a ballare. Devi insomma costruire una storia che giri intorno a questa situazione, non puoi tornare a casa con dieci immagini che messe insieme non raccontano la storia che vuoi raccontare. E invece, nel 90% dei casi, chi parte con la pretesa di fare il fotografo, parte all'incontrario; con l'idea, cioè, di andare a fare dieci belle immagini ignorando cosa sia Timbuctù. È lo scoglio su cui vanno a sbattere in molti. E c'è da dire che questo tipo di approccio viene sfruttato economicamente per tirare giù i prezzi sul mercato …"