Gente Viaggi   / Gioia
Ladakh, India
South Australia, Australia
Isola di Pasqua, Cile

Degli articoli - testo+foto - realizzati per "Gente Viaggi" e "Gioia" (del gruppo Hachette Rusconi) riporto di seguito le pagine di apertura e alcuni brani iniziali.
Chi fosse interessato a qualche servizio completo puņ scrivere a: apolitano@artsrl.it

Balla coi lama
Ladakh, India (foto di L. Rinaldini)

Nelle valli c'è animazione, malgrado l'aria rarefatta dei quattromila metri. Lungo la strada, che costeggia il fiume reso impetuoso dallo scioglimento dei ghiacci, si affollano camion, bus, fuoristrada. Di norma trasportano beni di prima necessità ai villaggi o ai campi delle forze armate indiane che presidiano i confini con Cina e Pakistan. In questo periodo sono carichi di gente che, come noi, si dirige verso i monasteri. Quando, per superare i passi, la strada si inerpica tra ripidissimi pendii incorniciati dalle vette pre-himalayane, il convoglio si compatta. Si procede lentamente, sfiorando il bordo delle gole. Numerosi scheletri di camion giacciono contorti in fondo alle scarpate. Scritte nere sulla roccia invitano alla prudenza: "pensa alla famiglia che ti aspetta", "meglio cinque minuti di ritardo che non arrivare per niente". Sui fianchi della montagna, altre testimonianze: simboli religiosi disegnati dai monaci con pietre bianche, un "dove osano le aquile" a caratteri cubitali lasciato dai militari di qualche base vicina. Si attraversa un paesaggio austero, minerale, abbagliante. Una sorta di Luna irradiata dal Sole, percorsa da lunghe vallate, punteggiata da oasi rare, circondata dalle montagne più colossali del pianeta. I sentieri tracciati dalle mandrie che attraversano le valli alla ricerca di cibo si confondono con i segni lasciati dal vento che scava solchi e corrode la roccia. Ogni tanto l'occhio percepisce lontane sagome di pastori nomadi e pecore in transumanza. In alcuni punti le acque dei torrenti cadono a strapiombo fra le gole, simili a lunghi sentieri argentati. Il Ladakh, situato lungo la valle dell'Indo tra la catena dell'Himalaya e l'altopiano tibetano, è da sempre un luogo di passaggi incrociati. Anticamente, delle carovane indiane dirette in Asia centrale come dei pellegrini in transito verso la montagna sacra del Kailash, delle orde mongole come dei nomadi che dall'altopiano tibetano si spingevano in Kashmir. Oggi invece il "piccolo Tibet" (per paesaggi e cultura il Ladakh viene più spesso associato al Tibet che non all'India a cui appartiene) è divenuto una meta in sé. L'ultima, ennesima, Shangri-La ...

 

Ai confini della terra
South Australia (foto di L. Rinaldini)

L'appuntamento con Cliff è alla Galleria delle culture aborigene del Museo dell'Australia meridionale, la più importante collezione al mondo di arte e cultura aborigena grazie ai suoi tremila pregiatissimi reperti, molti dei quali risalenti al periodo precedente lo sconvolgente arrivo dei "coloni bianchi". Cinquant'anni, un gran cappello in testa, la pelle scura degli abitanti originari del continente, qualche tratto che fa intuire mescolanze passate, Cliff è la nostra guida. Ci condurrà "attraverso uno dei luoghi più antichi della terra", dice mentre saliamo sul suo track 4x4: le Flinders Ranges, una regione montagnosa che si estende per oltre 1200 chilometri dal bordo del golfo St Vincent a nord di Adelaide fino ai grandi laghi salati dell'outback centrale. Terre abitate da 15 mila anni dagli Adnyamathanha ("il popolo delle rocce"), l'etnia a cui appartiene. Terre modellate dai giganti del Tempo del Sogno, esseri ancestrali con sembianze di serpenti, canguri, lucertole o uomini, che errando e cantando crearono ogni cosa, dai fiumi alle piante. Lì viaggeremo in compagnia degli aborigeni, percorreremo le piste in fuoristrada ma seguiremo anche a piedi le loro vie dei canti (i sentieri mitologici, cari a Bruce Chatwin, attraverso cui fluisce l'energia che continua a influenzare il corso delle cose), ascolteremo le loro leggende, sperimenteremo il loro rapporto con l'ambiente, dormiremo in campi di tende fuori dai villaggi o in mezzo ai canyon ...

 

 

Il più grande museo all'aperto
Isola di Pasqua, Cile

Nel mezzo del più grande mare del mondo, a migliala e migliala di chilometri da ogni altro luogo abitato, c'è una piccola terra che per il suo isolamento e per la sua posizione è stata definita la isla mas isla del mundo, "l'isola più isola che ci sia". Il suo nome, in polinesiano, è Rapa Nui; da noi tutti la conoscono come l'Isola di Pasqua come la battezzò l'ammiraglio olandese Jacob Roggeveen quando la scoprì nel giorno di Pasqua del 1722. Gli antichi abitanti la chiamavano invece Tè Pito O Tè Henua, l'Ombelico del mondo. E basta spaziare con lo sguardo dalle sue scogliere a picco sull'oceano o dalle cime dei suoi vulcani spenti, per capirne il perché: tutto intorno non c'è che acqua e ciclo, vento e silenzio. Sul mare di cobalto, aperto senza confini, gli azzurri si ricongiungono all'orizzonte. Il vento, che per il poeta cileno Pablo Neruda "qui fondò la sua casa, chiuse le ali e visse", trasporta veloce cumuli di nubi candide o cariche di pioggia improvvisa. La luce e i colori mutano di continuo e giocano sulla terra con le ombre delle grandiose testimonianze del passato ...